Nozze, beatificazioni, Sa die. E i problemi della gente?

2 Maggio 2011
1 Commento


Andrea Pubusa

Veniamo da una settimana di grandi riti mediatici: miliardi di persone invase dalle immagini del matrimonio del secolo, ieri la beatificazione a tempo di record di papa Woityla, Rilancio della stanca Corona inglese, si è detto, Rilancio della Chiesa nel nome del papa polacco, col tentativo abbastanza scoperto di mettere in ombra la Festa mondiale del lavoro, come hanno messo in luce non poche chiese dell’America latina. In Sardegna, nel nostro piccolo, abbiamo avuto la  rappresentazione rituale de Sa die.
Ma sono forme di vera rivitalizzazione di istituzioni stanche o si tratta di fatti autoreferenziali e propagandistici, che provano più la crisi che la vivacità di quanto si vuole evocare?
Cosa debba vivificare la Corona inglese non si capisce. E’ un’istituzione fuori dalla storia, che protrae la sua esistenza grazie a meriti indiscutibili, quali la capacità di adattarsi alle circostanze e alla dignitosa e ferma difesa del Paese di fronte all’attacco nazista. L’opposto, per capirci, di quanto ha fatto casa Savoia in Italia. Ecco perché la monarchia è finita da noi, perché troppe volte ha tradito il Paese: dalla marcia su Roma, quando ha dato via libera al fascismo per paura delle forze socialcomuniste, alla fuga da Roma e dalla proprie responsabilità dopo l’8 settembre, nel momento in cui il Paese aveva massima necessità di un riferimento istituzionale forte.
Tornati all’ordinarietà, la presenza di un monarca anziché di un Presidente è un fatto costoso e decorativo, poco utile se non dannoso.
La Chiesa, lo ha detto bene Nanni Moretti nel suo ulltimo film, è un’istituzione vecchia, retta da vecchi fuori dal mondo. Non c’è tema che agiti nel profondo l’animo dell’uomo di oggi che possa trovare conforto nell’insegnamento dei vecchioni del Vaticano. Ricerca scientifica, testamento biologico, fine vita, sessualità, omosessualità, e chi più ne ha più ne metta. Anche la riesumazione di corpi e bare fanno parte di questo macabro rituale di morte. La resurrezione di Cristo ha un valore simbolico opposto rispetto alla estumulazione del corpo di Giovanni Paolo II.  Simboleggia la vittoria della vita sulla morte, del bene sul male, degli umili sui forti, della lotta per la dignità dell’uomo contro le forze oscure che l’affossano.
L’incapacità delle gerarchie ecclesistiche di mettersi in sintonia con gli uomini e le donne d’oggi non vuol dire che il messaggio di Cristo abbia perso il suo fascino e la capacità di ispirare gli animi. Ma lo fa quando si reimerge nella società, nei tanti Don Gallo o Romero che si prodigano fra gli uomini e le donne, vivendo e affrontando insieme (sopratutto agli umili) le difficoltà della quotidianità, combattendo i potenti e i prepotenti. Lì tutti gli uomini di buona volontà (credenti e non) si ritrovano, uniti dall’impegno di difendere l’uomo e di affermare la sua umanità, come fece Cristo, le cui frequentazioni sociali - com’è noto - erano poco “raccomandabili”.
E che centra in tutto questo “Sa die”? C’entra, c’entra. E molto. Anche da noi si è celebrato un rito, si è rappresentato un sentimento di indipendenza che contrasta con i figuranti che dovrebbero inverarla. Cappallacci può dire e fare ciò che vuole, ma ha stampato nel suo DNA il servilismo, neppure ad uno Stato, ma a un’azienda e al suo capo. Punto. Fine dell’analisi. Ogni altra parola è superflua. E il Psdaz che festeggia i suoi 90? Un morto che parla. Intruppato in una Giunta di cui, a memoria d’uomo, non si ricorda di peggio.
Anche qui non è nelle celebrazioni e nelle parate che si vivifica lo spirito di indipendenza dei sardi, ma è nel progetto e nella lotta stessa. Ma contro chi possono combattere Cappellacci e il suo alleato sardista? Contro se stessi?
Volete un tema su cui, signori de sa Die, misurarvi  non una die, ma tutti i giorni? Eccolo. Fra i giovani tra 15 e 29 anni in Italia sono quasi due milioni senza qualsiasi tipo di occupazione, ormai fuori dal ciclo educativo e non coinvolti nemmeno in attività di formazione o addestramento. Quest’area, definita con l’acronimo NEET, “è composta di circa 700.000 disoccupati e in misura quasi doppia di inattivi”- Non sono cifre di qualche agitatore impenitente, ma del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Lo ha detto ricevendo al Quirinale, in occasione della Festa del lavoro, le segreterie di CGIL-CISL e UIL. In Sardegna, percentualmente, la situazione è anche peggiore. Una “condizione di forte disagio e incertezza per larghi strati di giovani, e in questa condizione si riflettono evidentemente debolezze non recenti del nostro complessivo processo di crescita”. Di fronte a questi dati le celebrazioni nascondono l’incapacità di dare risposte, intervenendo sulle cause strutturali che li generano. Peggio, spesso tendono a nascondere o a mettere in ombra i problemi. Il contrario del concetto elementare d’indipendenza, che è anzitutto capacità di misurasi coi propri problemi.
Ed allora mettiamo da parte le favole, i miracoli e le celebrazioni. Mettiamo i piedi per terra. Torniamo agli uomini e alle donne in carne ed ossa e ai loro problemi. Affrontiamoli ognuno col proprio bagaglio ideale o di fede. Ma per questo non servono le nozze di due spostati, le tetre esumazioni di cadaveri o il ricordo di un episodio non d’indipendenza, ma di contrattazione delle forme della sudditanza. Occorre un nuovo impegno.

1 commento

  • 1 michele podda
    2 Maggio 2011 - 09:07

    Caro Direttore,
    se fossi in vena di ironia, ti farei notare una dimenticanza sul Psdaz, ossia la consegna della bandiera dei quattro mori da parte di Trincas al nostro amato Premier; oppure ti farei osservare che comunemente non si parla male dei morti e che, come diceva mio nonno, non dei morti bisogna avere paura, ma dei vivi. E vorrei aggiungere che fra i morti che parlano ce n’è uno che cerca anche di fare: Christian Solinas, casualmente Psdaz.

    L’articolo nel complesso lo condivido, perchè ancora una volta evidenzia le CONTRADDIZIONI sempre più macroscopiche e diffuse in ogni settore della vita sociale e ad ogni livello, ormai. Il linguaggio dei giornalisti televisivi a proposito del rito mediatico maggiore (santificazione di Woityla) non è quello di semplici novizi, ma di religiosi consumati votati anch’essi alla santità.

    Forse stamane si potrebbe aggiungere un quarto evento ai tre precedenti: la vittoria delle forze del Bene (i servizi segreti americani) su quelle del Male (Bin Laden), con l’avvio finalmente di una nuova era di pace e di serenità sulla terra. Speriamo soltanto che la vittoria sul Male porti all’eliminazione anche delle briciole, e che oltre al figlio minore e a qualche nipotino, si faccia piazza pulita degli altri figli maggiori, di tutti i nipotini e del genitore-capo Gheddafi. Così l’opera sarà completa.

    Infine, caro Direttore, tre parole di troppo chiudono il tuo articolo: OCCORRE NUOVO IMPEGNO, troppo belle per essere vere.

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