I° Maggio e i furori del consumismo ideologico

30 Aprile 2011
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Riccardo Chiari


Vade retro shopping? «Macchè, non è che un’apologia acritica della dimensione consumistica»: lo dice Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, in questa intervista apparsa su Il Manifesto di venerdì scorso, segno che nella patria di Dante c’è ancora ragionevolezza, c’è chi preferisce il lavoro al consumismo. 
Da tempo critico sulle aperture selvagge dei negozi, il presidente regionale toscano Enrico Rossi non arretra: «Ci sono alcune feste che cementano il senso di appartenenza a una comunità. Fra queste c’è il primo maggio. Abbiamo più di 350 giorni l’anno per comprarci un paio di jeans o una camicia. Mi sembrano più che sufficienti. Quindi, per rispetto di chi tutti i giorni manda avanti questo paese, e anche per chi il lavoro lo cerca, il primo maggio dobbiamo fare festa. E attenzione, non lo dico solo perché quel giorno è la festa dei lavoratori. Mi ha inquietato sapere che a Viareggio i negozi erano aperti anche per Pasqua».

I sostenitori dei negozi aperti, e fra questi anche gli editorialisti del Corriere della Sera, attaccano alzo zero. Accusano l’intera Cgil di «conservatorismo culturale», e bollano come ideologica la resistenza dei sindacati alle aperture no-stop.
Ad essere ideologica è l’apologia, acritica, della dimensione consumistica del cittadino. Per giunta nel caso del primo maggio si tratta di una festa che, lo ripeto, ha un forte valore identitario.
Non voglio fare polemica con nessuno, conosco le difficoltà dei sindaci sulle aperture dei negozi. Però trovo quantomeno singolare che ci si scandalizzi per i minareti, che stravolgerebbero lo skyline delle città compromettendo il paesaggio, e poi si sostenga che si deve lavorare tutto l’anno.

Non le sembra curioso che l’Associazione nazionale dei comuni italiani, per bocca del suo presidente Sergio Chiamparino, sul «nodo» del primo maggio abbia convocato per domani i sindacati e le associazioni dei commercianti? Nel giorno in cui la Filcams Cgil nazionale chiude, proprio a Firenze, una campagna di sensibilizzazione esplicita fin dal titolo: «La festa non si vende».
Davvero ha convocato la riunione? Non lo sapevo. Vedremo cosa succederà, nel merito. Per quel che so, Chiamparino è una persona di buon senso.

Torniamo al «conservatorismo culturale» di cui soffrirebbe la Cgil, almeno a detta dei teorici delle aperture selvagge. Teorici che, come il sindaco fiorentino Renzi, tirano in ballo anche la legge Bersani. Che ne pensa?
La legge Bersani, che pure stabiliva la possibilità di derogare alle chiusure in alcune giornate festive, puntualizzava che quelli sono giorni di festa. Oggi invece si sta per così dire ideologizzando l’opposto: non ci sono più feste, perché i cittadini hanno il diritto di consumare come e quando vogliono. Con tanti saluti allo stesso buonsenso.

Domenica in Toscana, ma anche a Milano, i sindacati confederali del commercio hanno indetto lo sciopero contro le aperture dei negozi consentite dalle ordinanze dei sindaci. A Firenze, su un documento politico ufficiale a sostegno della protesta, il Pd si è diviso in due. Alla fine hanno dato l’ok a una mozione «di solidarietà» ai lavoratori e alle lavoratrici che faranno sciopero…
Mi sembra la conferma che il liberismo alla fine travolge un po’ tutto quanto. Eppure in Europa non va così, in certi giorni di festa i negosi sono chiusi ovunque. Solo a Londra si fa eccezione, ma perché sono tali e tante le comunità immigrate da rendere praticamente impossibile la regolamentazione, il riconoscimento che alcuni giorni come il Natale e il primo maggio sono diversi dalle normali domeniche.

Nei grandi magazzini di Firenze, come Zara, hanno già deciso che sostituiranno i commessi e le commesse in sciopero con i lavoratori interinali. Non le dico di chi è stata l’idea, è un suo collega di partito…
Non è una soluzione corretta. Non sono un sindacalista, non sono un esperto della materia. Ma penso che il ricorso agli interinali quando c’è uno sciopero sia il massimo del dispregio verso la controparte. Mi vengono in mente i romanzi dell’800 e del primo ‘900. Mi viene in mente «Furore» di Steinbeck, e anche il film di John Ford.

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