Conflitto di attribuzione: una bufala come il Tribunale dei ministri!

6 Aprile 2011
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Giovanni Coviello

La Camera  dei deputati ha approvato la proposta avanzata dalla maggioranza di sollevare un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sul caso Ruby. La proposta è passata per 12 voti di scarto.
Tanta gioia nella maggioranza, ma l’unico a dire la verità è stato una volta tanto l’On. Ghedini, avvocato del premier Berlusconi: “Ovviamente se ne discuterà in udienza e poi vedremo..”. Ma i giudici di Milano “faranno come sempre quello che vogliono”. Non proprio così, avvocato Ghedini, fanno ciò che prescrive la legge. In realtà, il Parlamento ha votato una bufala ed è stato piegato alla propaganda del Cavaliere, come ci  spiega l’articolo che segue.

La Camera dei Deputati ha tempo fa negato alla Procura della Repubblica di Milano l’autorizzazione alla perquisizione dello Studio di Giuseppe Spinelli, che sarebbe stato l’elargitore di generose prebende del Premier a ragazze che non ci interessa qui definire. Evito anche la tesi “nipote di Mubarah” per soffermarmi sull’affermazione della competenza del “Tribunale dei Ministri”. Abbiamo già scritto che tale Tribunale non esiste e che il termine viene usato da alcuni politici solo per ingannare cittadini ignoranti (non è una colpa ignorare in questo caso comunque complesso) e disponibili ad essere tali (e questa sarebbe una colpa!). Su televisioni e giornali al popolo è stata propinata la volontà del ricorso alla Corte Costituzionale. Si fa con ciò riferimento all’art. 134 della Costituzione, in particolare al conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato. Perché vi sia conflitto tra i poteri è necessario che i poteri confliggano sui temi che siano competenza di entrambi. Se su di un tema la competenza è esclusiva di un potere, l’altro che voglia confliggere è destinato a soccombere. Come diceva Calamandrei, le leggi sono come i figli. Quando diventano maggiorenni escono di casa e vanno per la loro strada. Così le leggi; una volta promulgate se ne vanno per la loro strada ed il Parlamento non ha sulle stesse più alcun potere. Può solo dare la cosiddetta interpretazione autentica che non è una interpretazione, bensì una legge che modifica la precedente secondo quanto sostiene il Parlamento. Una volta che la legge è tale, se ne va come il figlio maggiorenne e l’unico organo che può interpretarla è quello che la applica, cioè il Giudice. E il Giudice è soggetto solo alla legge (art. 101 Cost.). Questa è la ovvia conseguenza del fatto che solo il Giudice può interpretarla.
Il parlamento (non la Camera dei Deputati) ha il potere legislativo; il Giudice (non il Magistrato) ha il potere di interpretazione. Quale conflitto può esistere tra questi due poteri? Nessuno! Vi sarebbe conflitto se il Giudice potesse legiferare o se il Parlamento, o il Governo avesse il potere interpretativo. Allora avremmo un conflitto tra due poteri che entrambi legiferano. Oppure, avremmo un conflitto tra due poteri che, entrambi, interpretano la legge (potendola, però, entrambi interpretare). Sollevare un conflitto di attribuzioni significherebbe non tanto chiedere alla Corte Costituzionale quale dovrebbe essere l’interpretazione della legge (cosa che è sottratta alla Corte se non nel caso del giudizio di legittimità che in questa situazione non rileva) ma se la Camera dei Deputati o il Governo hanno il potere di interpretare la legge in conflitto col Giudice a ciò delegato sia dalla legge ordinaria che dalla legge costituzionale (art.101 Cost.).
Il giudice, nel rispetto dei gradi di giudizio, è l’unico che può interpretare le leggi. Ed è proprio la Suprema Corte di Cassazione il Giudice ultimo che dà l’interpretazione formalmente non impugnabile.
Guardando al concetto dinamico di esercizio della funzione distinto nei confronti del concetto di status, ed essendo la competenza del “P.M. collegiale” funzionale solo quando l’illecito del Ministro è nell’esercizio della funzione, la giurisprudenza afferma che l’abuso dello status non configura la situazione processuale prevista dalla legge Cost. n. 1 del 1989.
Sul punto già si è espressa in linea di principio con una decisione a Sezioni Unite la Suprema Corte nel luglio del 1994 in relazione al caso De Lorenzo. Al riguardo, in piena sintonia con la posizione della Giunta del Senato. il relatore era il Prof. Renato Ellero, ex senatore della Lega Nord, poi uscitone per dissidi e ultimamente tornato alle cronache nazionali come legale di uno dei (sedicenti) proprietari della famosa “casa Tulliani”.
Un altro dei casi che oggi ci fanno parafrasare, parlando dell’Italia, il titolo di uno dei più bei film della per chi vi scrive bellissima Laura Antonelli: Dio come sono caduta in basso.

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