Carlo Dore jr.
Sulla porta della legge c’è un guardiano” scrive Kafka ne “Il processo”: un guardiano che impedisce il contatto con la legge ad un povero contadino destinato a consumarsi nel suo disperato tentativo di sentire la sua domanda di giustizia rimbombare oltre i battenti di quella porta. “Sulla porta della legge c’è un guardiano”, deve aver pensato oggi Berlusconi, sedendosi ancora una volta dietro il banco degli imputati: un guardiano che si ostina a sbarrargli la via che conduce lontano dalle aule di giustizia.
“Sulla porta della legge c’è un guardiano”: un guardiano settario e fazioso che si oppone alla libera volontà espressa dalla maggioranza degli elettori, impedendo al Presidente del Consiglio di completare il miracoloso processo di rinnovamento avviato dal miglior governo degli ultimi 150 anni. “Contro di me accuse ridicole” tuona il Cavaliere nella cornetta di Belpietro: si sente come il personaggio di Kafka, che si consuma sulla porta della legge. La Santanchè grida e si agita sul marciapiede che costeggia il Tribunale di Milano, con i tacchi a spillo che massacrano impietosamente il grigio dell’asfalto; i Pretoriani della libertà si schierano in capannelli sempre meno numerosi, tra i claxon degli automobilisti esasperati e gli sberleffi degli oppositori inferociti: “Silvio è un perseguitato!” “Ma si faccia processare!”.
“Sulla porta della legge c’è un guardiano”, che da quindici anni non si sposta. C’è stato Borrelli con il suo “resistere, resistere, resistere”, c’è stato D’Avigo con la sua scienza al vetriolo, ora c’è la Boccassini che indaga insieme a Di Pasquale: Mills e il Ruby-gate, la Minetti e Lele Mora, false testimonianze e conti cifrati, escort e notti brave, telefonate indebite e balle spaziali. E’ il fango del potere, è il potere che affoga nel fango: si salvi chi può! Arrivano Ghedini con la sua teoria de “l’utilizzatore finale”, Alfano con il suo arsenale di scudi e legittimi impedimenti, Paniz con la pazza idea della prescrizione breve. Fioccano le immunità e le sentenze di non doversi procedere per intervenuta estinzione del reato: il Cavaliere tira un sospiro di sollievo, e marcia impettito verso l’uscita del Tribunale. La via è libera, il guardiano è neutralizzato? No, il guardiano è sempre lì, sulla porta della legge, e gli ordina a brutto muso di tornare in aula.
Le immunità cadono una dopo l’altra sotto la scure della Corte Costituzionale, le prescrizioni non possono neutralizzare le nuove indagini: il fango continua a sommergere i palazzi del potere. La gente si indigna e scende in piazza “Dimissioni! Dimissioni!”. I leoni dell’etere tornano a ruggire: arriva Ferrara da Radio Londra, arrivano Sallusti e Kalisphera. Riparte la teoria del complotto, dell’aggressione delle toghe rosse, dei giudici politicizzati da punire, magari attraverso una bella riforma in grado di colpirli, oltre che nell’indipendenza, anche nel portafogli. Berlusconi lascia l’udienza e guarda in cagnesco il Tribunale dal basso del predellino della solita auto blu. I supporter lo attendono, lui sfodera toni trionfalistici e sorriso da caimano: sono un perseguitato, sono come il personaggio di Kafka. Persino la Santanchè, che conosce Kafka parola per parola, si rende conto della scarsa consistenza della metafora: il contadino de “Il Processo” si consuma dinanzi al guardiano chiedendo di accedere alla porta della legge, non di attraversarla per stare lontano dal banco degli imputati.
Sulla porta della legge c’è un guardiano: quel guardiano si chiama Costituzione, si chiama legalità, si chiama uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge. Sulla porta della legge c’è un guardiano: è dinanzi a quel guardiano che il potere di Berlusconi è forse destinato a spegnersi poco a poco.
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