Ammazzare i processi è un modo per curare i mali della giustizia?

26 Marzo 2011
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Amsicora

Se ci pensate bene ci sono tre modi per ridurre le attese negli ospedali:  il primo è l’uccisione dei pazienti inseriti nella lista d’attesa dopo un certo numero, l’altro quello di aumentare la dotazione di persone e mezzi per curarli, il terzo, il migliore e meno costoso, la prevenzione delle malattie. Ebbene, il governo decide di sveltire la conclusione dei processi uccidendoli con la prescrizione.
Come dar torto, dunque, all’ANM - Ass. Naz. Magistrati quando dice che “la riduzione dei termini di prescrizione è un’offesa per tutti i cittadini onesti di questo paese” e “rischia solo di determinare l’impunità per autori di gravi delitti”. Ed ancora come negare che  differenziare le regole in ragione della personalita’ dell’imputato appare  in contrasto ” coi principi costituzionali di eguaglianza e di ragionevolezza”. Infatti, per gli incensurati la legge penale prevede altri benefici e, questa disparità di trattamento sui termini di prescrizione è in forte odore di violazione dell’art. 3 Cost. che sancisce il principio di eguaglianza.
E poi come negare che anche in questo caso l’attività legislativa è stata piegata in maniera esplicita ad interessi particolari? Guarda caso, assicura l’estinzione di alcuni processi del Cavaliere.  Questo, dunque, ancora una volta era il vero obiettivo dell’annunciata riforma epocale della giustizia: risolvere situazioni legate a singole vicende processuali, direttamente con una norma sulla prescrizione dichiaratamente destinata ad incidere sullo svolgimento di un processo in corso.
C’è poi una modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, “punitiva e intimidatoria”, secondo l’ANM. Qui, tuttavia, un’assimilazione con la responsabilità degli alti funzionari pubblici che rispondono per dolo o colpa grave non è ingiustificata, anche perché la colpa grave copre tutte le situazioni complesse in cui più che nel campo dell’errore si versa in quello dell’opinabilità. Dunque nessuna conseguenza per decisioni discutibili, ma contenute nei limiti dell’ordinaria accettabilità. Non c’è invece ragione di escludere la responsabilità a fronte di decisioni grossolanamente erronee nella ricostruzione del fatto o nell’interpretazione delle discipline giuridiche. D’altronde, nessuna preoccupazione per la terzietà del giudice: è assicurata dal fatto che il giudicante fa parte dello stesso ordine del magistrato-convenuto.
Certo, comunque, il quadro politico non è quello ideale per un sereno esame della delicata materia, che - trattata malamente - può introdurre nel nostro ordinamento un grave vulnus all’indipendenza dei magistrati. Si potrebbe paradossalmente finire per mantenere il principio di indipendenza dell’ordine giudiziario verso gli altri poteri pubblici e per sottometterlo ad un potere privato non meno potente, quello economico.

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