Giuseppe Pala
Con l’avvio della campagna Odissey Dawn in Libia, si ripropone l’antico dilemma sulla legittimità e l’opportunità di svolgere operazioni militari in paesi stranieri. Sono veri e propri atti di guerra o, viceversa, rientrano tra i compiti assegnati alla comunità internazionale? In altre parole, fra questi doveri rientra l’intervento ogni qualvolta in una regione, non sono rispettati i diritti civili delle popolazioni specie se queste rappresentano minoranze in lotta con il potere statale? In tali situazioni, riemergono le contrapposizioni tra chi condanna la guerra in termini morali (ne è stato un esempio, il Pontefice Giovanni Paolo II) e chi, viceversa, approva queste “missioni umanitarie”, considerandole guerre giuste, come teorizzato in passato dallo statunitense Michael Walzer. Anche in quest’occasione possiamo sostenere che prevale il pensiero di chi sostiene che l’intervento se non è mai giusto, è almeno giustificato dalla congiuntura degli eventi. Guerra giusta significa uso legittimo della forza, in particolare, quando si è alla presenza di un’aggressione di uno stato sovrano, come accadde il 2 agosto del 1990 allorché l’Irak di Sadam Hussein, invase il piccolo stato del Kuvait.
In quell’occasione il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, approvò una serie di risoluzioni per riportare lo status quo e condannare l’aggressione. Trascorsi inutilmente oltre sei mesi, si diede via alla missione “Tempesta del deserto”, che nel giro di quarantadue giorni liberò il piccolo stato del Kuvait, sancendo la sconfitta dell’Irak. Nel caso della Libia la situazione è diametralmente opposta, poiché non c’è stata alcuna invasione di uno stato sovrano; sorprende, pertanto, la celerità con la quale si è dato avvio alle operazioni per la creazione di un corridoio umanitario, che, però, con il passare delle ore, prende le sembianze di una vera e propria crociata occidentale di stampo coloniale nei confronti di un dittatore osannato e riverito in passato dagli stessi occidentali. Una celerità nell’intervenire che fa sorgere naturalmente una domanda: in cosa differisce la rivolta libica rispetto ai trentuno conflitti sparsi nel mondo? 10 in Africa, 12 in Asia, una in Europa, sei in Medio oriente, e due in America latina: questa è la mappa dei vari conflitti nel mondo di cui molti dimenticati dalla opinione pubblica.
Qualcuno potrebbe domandarsi perché la Francia di Nicolas Sarközy abbia impresso un’accelerazione alla campagna senza aspettare la definizione della questione del comando. Forse, per una volta, ha ragione la Lega nord, quando sostiene che ci si è dimenticati di applicare le regole della diplomazia internazionale per passare direttamente alla fase bellica, mettendo in moto una macchina da guerra dalle proporzioni sproporizionate nei confronti di un piccolo tiranno di periferia.
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