Gianna Lai
Questo articolo completa l’intervento pubblicato col titolo “8 marzo: quant’è duro il lavoro delle donne!”
A fronte della permanente generale durezza del lavoro delle donne, conforta la crescita della presenza femminile nelle professioni, avvocati, giudici, ingegneri, ecc. perchè anche in Sardegna le donne si laureano più numerose degli uomini, in minor tempo e con esiti più brillanti, seguendo percorsi formativi più impegnativi, compresi quelli un tempo destinati esclusivamente al sesso maschile. La diseguaglianza si registra, e gravemente, nella collocazione lavorativa, perchè esse impiegano più tempo a trovare lavoro e non arrivano quasi mai a raggiungere i più alti gradi della carriera, a toccare “il tetto di cristallo”, se pensiamo che in Italia ci sono 191 donne deputate e senatrici su 945 rappresentanti, mentre a reggere la carica di sindaco è solo il 10% delle donne, e le percentuali si abbassano man mano che si scende nel Meridione. Donne imprenditrici, dirigenti e impegnate nelle istituzioni: se ne contano in tutto 5 mila in Sardegna, contro i 14mila maschi.
Uno sguardo infine al mondo della scuola, il luogo privilegiato dell’occupazione femminile, dove l’attacco al lavoro è diventato davvero insopportabile: in Italia persi in 3 anni 200 mila posti di lavoro, il più grande licenziamento di massa ad opera di un Governo che vuole liquidare l’istruzione pubblica. Previsti 1300 posti in meno per il prossimo anno anche in Sardegna e, perchè le scuole non chiudano, i Comuni riassumono i precari mediante contratti atipici, a progetto, ecc., definendo così dal basso forme di reclutamento fuori dalle graduatorie, fuori dal Contratto collettivo nazionale, fuori da ogni tutela e garanzia. Ma sono i tagli ai Comuni a cancellare ogni residuo Stato sociale, attraverso quella strana forma di federalismo municipale secondo cui il modello familista del mercato del lavoro italiano, stabilità dell’occupazione maschile adulta, stabilità della famiglia e, quindi, accudimento femminile, si impone al nostro sistema di welfare, fino a garantire soltanto a 1 bambino su 9 la frequenza dell’asilo nido. E se in Sardegna la percentuale scende ancora, ci spieghiamo perchè la nostra regione è quella dove nascono meno bambini.
Cento anni fa, l’8 marzo per òa precisione, 145 donne muoiono nell’incendio di una fabbrica di camicette a New York, quasi tutte giovanissime e immigrate dell’Europa dell’Est, dell’Italia meridionale, o ebree. 145 omicidi sul lavoro di cui una lunga lista ricorda adesso nomi, età e indirizzi. Da quella tragedia nacque una campagna per la sicurezza sul lavoro, che ancora mantiene tutto il suo significato e la sua forza, nella resistenza delle lavoratrici e dei lavoratori allo sfruttamento e all’ideologia dei governi della destra che lo sostiene.
Oggi, attraverso l’esperienza e il sapere della quotidianità, la consapevolezza delle donne spinge verso un cambiamento del lavoro e dell’economia, che sia rispetto della vita, della relazione, della crescita di sè. Ma, si legge nel Manifesto della Libreria delle donne di Milano “Immagina il lavoro”, “tutto ciò ipotizza un cambiamento di civiltà, oltre che di misure e di regole economiche…” perchè, prosegue il documento “…nel lavoro ci siamo e siamo pronte per dire quello che non ci va bene. E per assumerci nuove responsabilità insieme a nuove libertà”. Lo abbiamo visto nei recenti scioperi indetti dalla CGIL e dalla FIOM per l’occupazione e per la difesa del Contratto, e nelle manifestazioni degli studenti in difesa della scuola pubblica e dell’Università: la crisi dell’occupazione non ha mai fiaccato lo spirito delle donne, e non ha mai fatto venir meno la loro opposizione alle politiche discriminatorie nel lavoro e nella società, anzi ha dato vita al movimento del 13 febbraio, nello slogan del “se non ora quando“, che ha riaperto il dibattito in Sardegna, come nel resto d’Italia.
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