Non per il petrolio, per la democrazia

22 Marzo 2011
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Andrea Pubusa

La campagna di Libia si differenzia dall’invasione dell’Irak e dall’intervento in Afghanistan per alcuni fatti evidenti: l’assenza di un movimento pacifista in campo come quello che allora avvolse il globo intero; l’assenso del Vaticano in luogo della mobilitazione massiccia contro la guerra del mondo cattolico con in testa Giovanni Paolo II, l’appoggio di parte dek centrosinistra  invece dell’opposizione di tutte le sinistre. E’ questo il segno di una difficoltà di lettura della situazione. Non a caso, anche il fronte di destra allora compatto per la guerra, ora è diviso fra chi approva con entusiasmo (La Russa ed altri) e chi manifesta freddezza e dissenso (Bossi ed altri).
Quali le ragioni di questa inusuale articolazione?
Anzitutto, la sollevazione popolare in Libia. E’ stata forte e ben visibile come micidiale è stata la reazione di Gheddafi con l’uso dell’aviazione e dei carri. Una repressione sanguinaria come ormai non si vedeva da anni, che mette, insieme, in luce la debolezza e la forza di Gheddafi. La incapacità del Rais ad affrontare e risolvere la situazione sulla base della trattativa o della “ordinaria” repressione poliziesca, come fanno i regimi sicuri di sé ancorché autoritari; e, al tempo stesso, la forza del Colonnello di prevalere sulla rivolta. Orbene, questa duplice condizione del regime libico, da un lato giustifica anche istintivamente un intervento a tutela dell’incolumità dei ribelli, ma dall’altro evoca un principio del diritto internazionale (invocato anche dai noi pacifisti per l’Irak di Saddam), e cioè che fin tanto che un regime è dotato di effettività, ossia della capacità di imporsi alle opposizioni, gli altri Stati non possono intervenire, trattandosi di un interferenza negli affari interni. Ora, bisogna ammettere che le sensazioni che abbiamo avuto nei primi giorni dei moti popolari in Libia è che Gheddafi avesse perso il consenso e fosse niente più che un despota grottesco ed isolato, privo anche dell’esatta percezione della situazione. A darci questa impressione hanno concorso anche i media, che sempre più spesso sembrano inventarsi la realtà anziché raccontarla.
Questo è un aspetto decisivo. Se risultasse che la rivolta, per quanto ampia, non è in grado di riprendersi e darsi forme di governo effettive e, via via, più stabili, l’intervento risulterebbe, da un lato, ingiustificato e, dall’altro, estremamente pericoloso. Ingiustificato perché si tratterebbe di una interferenza nelle questioni interne di uno Stato, che, per quanto autoritario e sanguinario, non è differente da tanti altri regimi ben tollerati dalle grandi potenze. Pericoloso, perché una cosa è dominare i cieli e bombardare indisturbati ad alta quota, altra controllare un territorio ampio, dove – com’è noto – le guerriglie la fanno da padrone. Non è un caso che in Irak Bush jr. abbia inviato una grande armata ad occupare il campo.
La situazione di fatto influenza anche la lettura dell’art. 11 Cost., che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, e, dunque, non sarebbe tale un intervento armato a difesa della libertà di essi. E’ quanto afferma il Presidente Napolitano. Del resto anche la Resistenza fu un movimento in armi appoggiato dagli Alleati. Tuttavia, ciò sarebbe vero solo se Gheddafi risultasse largamente isolato fra i libici e privo della capacità d’imporsi alle opposizioni interne. Se così non fosse, l’intervento armato esterno non sarebbe in difesa della libertà del popolo libico, ma un attacco all’indipendenza di quello Stato in manifesta violazione dell’art. 11. Ed in ogni caso, è difficile credere che Sarkozy, Cameron e Berlusca siano stati mossi dall’idea di sostenere una vera democrazia in Libia, ché la democrazia è anzitututto autocontrollo delle proprie risorse. 
Quanto si và dicendo mostra un fenomeno ben noto ai giuristi, e cioè che il diritto in concreto non nasce solo dalla norma, ma da come questa interagisce col fatto. Anche questo concorre a definire la regola del caso concreto, che sarà diversa, e perfino di segno opposto, a seconda del fatto cui deve applicarsi e di come questo viene percepito da chi ha il potere di decidere.
Sul piano politico le considerazioni sono in parte diverse e più sicure. Assume centralità la ricerca vorace delle risorse energetiche. Non a caso il cuore umanitario del capitale batte solo per i popoli che calpestano terre ricche di petrolio o gas oppure per i paesi strategicamente posti nei luoghi di passaggio o di controllo di quelle risorse. Lo spirito umanitario non muove i cuori e gli aerei delle potenze quando i disgraziati della terra non hanno nulla di cui essere depredati. Ed in questa chiave, più sostanziale, non c’è dubbio che l’intervento così deciso della Francia e dell’Inghilterra non sembra mosso da alcun sussulto ideale, ma dal gelido calcolo economico. E questo spiega anche l’atteggiamento dell’Italia, che ha ancora un Trattato d’amicizia con la Libia di Gheddafi, ma la bombarda. Un voltafaccia goffo e precipitoso, che ci ha tolto anche la possibilità di svolgere un ruolo prezioso di mediazione diplomatica. Berlusconi (lasciamo da parte La Russa, un caso patologico di ragazzino cresciuto a cui piace giocare coi soldatini e le bombe), dalla sera alla mattina, è così passato dal baciamano indecoroso all’altrettanto poco dignitoso accodarsi a Francia e Inghilterra nella paura di perdere le quote del petrolio e del gas libico. Ora, a fronte di questi governanti, espressione del capitalismo più becero e degli umori peggiori della destra rapinatrice, non è neppure pensabile una tregua e una unità nazionale. L’intervento diventa uso della forza in funzione della rapina, pura distruzione senza umanità. E la sinistra non può che tirarsene fuori. Occorre semmai sfruttare lo scontro fra predatori (Gheddafi e le potenze interventiste), le contraddizioni in seno al capitalismo, come si diceva un tempo, per sostenere quei settori del popolo libico che si battono per la democrazia (che è anzitutto disponibilità delle proprie risorse) in quel Paese. Certo chi lotta per la libertà e l’autodeterminazione del popolo libico non avrà l’appoggio dei Sarkozy, dei Cameron e dei Berlusconi. Deve aver quello della sinistra e dei democratici di tutto il mondo.

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