Maria Paola Morittu . Italia Nostra
Gentile Amsicora, accolgo il Suo cortese invito ed esprimo alcune riflessioni nate dalla lettura dell’articolo che precede.
Noto che Lei si limita a riportare l’opinione di Coimpresa ed evita di manifestare la propria, se non in via dubitativa.
Dal momento che personalmente credo ancora nella certezza del diritto, proverò a dare qualche risposta, basata esclusivamente sull’applicazione delle norme vigenti.
Ho già spiegato nell’altro mio intervento i motivi per cui ritengo che l’articolo 15 non si applichi al caso in questione, dunque non mi dilungherò troppo. Ma ritengo utile riassumere il mio pensiero.
Il PPR, come spiega bene la relazione allegata, si fonda su due livelli di tutela assolutamente indipendenti l’uno dall’altro: il primo che detta le regole relative ai beni paesaggistici; il secondo che disciplina i 27 «ambiti di paesaggio», individuati nei territori costieri.
Entrambe le normative rientrano nella Parte prima, Titolo II “Disciplina generale” delle norme di attuazione del P.P.R., quella dei beni paesaggistici all’articolo 8, quella d’ambito agli articoli 12-15. L’articolo 8, nelle cui previsioni - a seguito della dichiarazione di “area con valenza storico-culturale” disposta dall’articolo 49 - rientra l’intera superficie dei colli, al comma quarto precisa che “l’individuazione dei beni di cui ai commi precedenti, costituisce accertamento delle caratteristiche intrinseche e connaturali dei beni immobili e delle risorse naturali del territorio. Le conseguenti limitazioni al godimento di beni immobili non danno luogo ad indennizzo ai sensi dell’articolo 145, comma 4 del D. Lgs. 42/04 e hanno valore a tempo indeterminato”.
Non è prevista nessuna eccezione o deroga.
Il famigerato articolo 15, invece, prevede un altro livello di tutela (più generale, che si aggiunge a quello specifico, relativo ai singoli beni paesaggistici, dettato dall’articolo 8), esteso a tutti gli ambiti territoriali costieri il quale, come misura di salvaguardia (anche qui solo fino all’adeguamento del PUC al PPR) dispone l’inedificabilità delle zone C, D, F e G ricomprese nel territorio individuato.
Questa misura di protezione, però, a differenza di quella prevista dall’articolo 8 per i beni paesaggistici, subisce la deroga introdotta dal successivo terzo comma e viene meno nel caso di interventi previsti negli strumenti urbanistici attuativi, approvati e con convenzione efficace alla data di adozione del PPR., rispetto ai quali, dunque, la misura di salvaguardia prevista per il relativo ambito territoriale non si applica.
E’ sulla base di tale disposizione che l’impresa ritiene di avere diritto alla realizzazione degli interventi oggetto dell’accordo di programma.
L’impresa, però, dimentica l’altro livello di tutela apposto sull’area - in aderenza ai criteri indicati dall’articolo 8 - tramite il vincolo di cui all’articolo 49, annullato dal Tar Sardegna nel 2007 e di recente confermato dal Consiglio di Stato.
Si tratta di una norma particolare, priva di deroga, che, come norma speciale, prevale sulla disciplina d’ambito - di carattere generale - e che impedisce la realizzazione degli interventi approvati.
Per evitare che ciò accadesse sarebbe stato necessario un richiamo specifico all’eccezione prevista per la normativa d’ambito, come puntualmente è stato fatto nel caso della fascia costiera - considerata “bene paesaggistico d’insieme” - per la quale, dopo avere stabilito una generale misura di salvaguardia che prevede l’inedificabilità delle zone ricomprese al suo interno, viene dichiarato specificamente che “si applicano le disposizioni di cui all’articolo 15” (articolo 20, comma 4, NTA del PPR).
Tanto premesso, veniamo alle singole affermazioni dei rappresentanti di Coimpresa da Lei riportate. La sentenza n. 84/2009, in cui confida l’impresa, non ha più alcuna rilevanza in ordine alla attuale realizzazione degli accordi di programma.
E’ vero, infatti, che il Tar Sardegna con questa decisione aveva confermato il diritto dell’impresa a realizzare gli interventi approvati, ma è anche vero che ciò è avvenuto nel 2009, in un momento in cui il vincolo attuale, che impedisce la realizzazione degli accordi, era stato precedentemente annullato dallo stesso tribunale amministrativo e quindi non era più vigente.
Quel giudizio, inoltre, ribadito dagli stessi giudici del Tar nella sentenza adesso riformata dal Consiglio di Stato, è oggi ritenuto totalmente errato dal Supremo Collegio che, negando quanto sostenuto dalla sentenza n. 84/2009 in cui confida l’impresa, afferma che il vincolo apposto dal PPR nel maggio 2006, in aderenza all’articolo 145, terzo comma, del Codice Urbani, prevale su tutti gli strumenti urbanistici di contenuto contrario. Accordo di programma compreso.
Che dire poi della convinzione che il Comune “debba riadottare le autorizzazioni paesaggistiche (annullate da altre sentenze del Consiglio di Stato) “ora per allora”, ossia senza alcuna influenza della recente sentenza del Consiglio di Stato che ha esteso il vincolo paesaggistico a tutto il compendio”? Pura follia giuridica.
Ricordi ai legali di Coimpresa - Lei, che questi elementari princìpi li conosce da anni - che il giudicato amministrativo ha efficacia ex tunc e dunque gli effetti della sentenza retroagiscono al 24 maggio 2006, travolgendo tutti gli atti di contenuto contrario successivamente emessi.
Semmai bisognerebbe verificare la legittimità degli orrendi palazzoni costruiti lungo la via Is Maglias, visto che il permesso di costruire è stato dato dal Comune dopo l’apposizione del vincolo, in pendenza del giudizio d’appello contro l’annullamento della tutela ad opera del Tar.
Ricordi anche ai legali di Coimpresa che il Comune non ha più alcun potere di concessione delle autorizzazioni paesaggistiche e queste, dunque, dovrebbero essere rilasciate dalla Soprintendenza ai Beni Paesaggistici, la stessa che ha annullato i precedenti nulla osta.
Gentile Amsicora, su un punto discordiamo: sono profondamente convinta, alla luce dell’ultima sentenza del Consiglio di Stato, che se Coimpresa proponesse un altro ricorso per ottenere i nulla osta già annullati - o anche quelli non ancora richiesti - correrebbe il rischio concreto non solo del rigetto del ricorso, ma anche della condanna al pagamento delle spese processuali.
Un cordiale saluto
Maria Paola Morittu
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