Giustizia. Così finisce l’uguaglianza

12 Marzo 2011
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Giuseppe Di Lello


Ecco un’interessante riflessione sulla controriforma Berlusconi-Alfano sulla giustizia apparsa ieri su Il Manifesto. Questo intervento ben motiva le ragioni delle manifestazioni che oggi si svolgono in ogni parte d’Italia contro il progetto Berlusconi-Alfano.

L’impianto costituzionale del sistema giudiziario è funzionale alla realizzazione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini dinnanzi alla legge sancito dall’articolo 3: da qui l’indipendenza e l’autonomia della magistratura da ogni altro potere, il suo organo di autogoverno, i giudici soggetti soltanto alla legge, l’obbligatorietà dell’azione penale per il pubblico ministero, l’autorità giudiziaria che dispone direttamente della polizia giudiziaria, l’inamovibilità dei giudici, la parità tra accusa e difesa ed atro ancora.
Ad un primo esame delle proposte del ministro Alfano, e senza poter tener conto di successivi emendamenti nell’iter parlamentare, si può senza dubbio affermare che buona parte di questa riforma, andando a depotenziare l’indipendenza del potere giudiziario garante della legalità, scardina il principio di uguaglianza finora ritenuto fondamentale e, dunque, intoccabile. Se ciò è quantomeno verosimile, messi di fronte ad una riforma «epocale» della giustizia da parte di una maggioranza che ha i numeri per attuarla, ma non quelli per evitare un referendum confermativo senza lo scudo del quorum, ci si potrebbe già attrezzare per lo scontro referendario. Questa sarebbe anche una buona occasione per tornare a discutere con il popolo sovrano della nostra giustizia, delle cose insensate che non si dovrebbero fare e delle cose sensate che si dovrebbero fare, anche se non nelle forme proposte da Berlusconi. Andiamo per sintesi, dato che le «ricadute» negative sul principio di uguaglianza sono abbastanza ovvie.
Uno dei punti cardine di questa riforma è il potere di ricercare e «prendere» la notizia di reato sottratto al pm e dato in esclusiva autonomia alla polizia giudiziaria: da lì in avanti sarà un organo dell’esecutivo a decidere quali fatti/reato perseguire o ignorare. Il pm dirigerà sempre la polizia giudiziaria, ma solo per le notizie di reato che questa avrà la bontà di sottoporgli.
Un pm così depotenziato viene inquadrato in un corpo separato dai giudicanti (la separazione delle carriere) con due Csm a composizione paritaria tra e laici nominati dal parlamento e togati estratti a sorte, forse per vaccinarli dal virus dalla democrazia partecipativa. Questa separazione viene contrabbandata come mezzo per ristabilire la parità tra accusa e difesa, menomata per la colleganza tra giudici e pm, dimenticando che tale parità è già oggi pienamente assicurata dai mezzi processuali che le due parti hanno dinanzi ad un giudice terzo e che si materializza con le tante sentenze che disattendono, con assoluzioni o condanne, le richieste dei pm: se la «colleganza» fosse condizionante ciò non avverrebbe. C’è anche da aggiungere che con l’attuale ordinamento il passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti e viceversa è difficilissimo e i casi di trasmigrazione sono molto rari. Comunque, un corpo di pm separato e senza il controllo di un Csm, ormai privo di poteri, prima o poi cadrà sotto la guida dell’esecutivo: è così dovunque in Europa e nel resto del mondo e, prima o poi, ci si dirà, non si vede perché non dovrebbe esserlo anche in Italia. Negli altri paesi però l’esecutivo paga un prezzo politico per la giustizia guidata dalla politica - ne sa qualcosa Sarkozy proprio in questi giorni contestato dalle manifestazioni dei suoi giudici - mentre noi, abituati ormai alle leggi ad personam, ci dovremo rassegnare anche ad una giustizia a misura di esecutivo o di maggioranze parlamentari, di qualunque colore essi siano.
Altro punto nodale è la regolamentazione per legge della obbligatorietà dell’azione penale, con l’indicazione delle priorità rimessa al parlamento. Questa priorità comporterà il non perseguimento di alcuni reati e, quindi, una sorta di amnistia impropria per gli stessi: ma per quali reati sarà permesso di soprassedere: quelli ambientali, edilizi, tributari, falso in bilancio, corruzione semplice, tutela della salute, usura, sicurezza sul lavoro, ecc.? Ci sarà un aumento esponenziale dei reati prescelti con un plateale schiaffo alle vittime, mentre sarebbe stato più corretto procedere ad una sostanziosa depenalizzazione del codice penale, sempre invocata e mai realizzata.
I due Csm saranno poi ridotti al rango di uffici amministrativi, privati di ogni potere di tutela del giudici mentre i procedimenti disciplinari saranno affidati ad una corte «politica»: cade così del tutto il principio dell’autogoverno dei magistrati.
La inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado avrebbe un senso se limitata a quelle con formula piena (l’imputato non ha commesso il fatto o il fatto non sussiste): è un tema prospettato con favore da parte di alcuni settori progressisti della magistratura. Esteso a tutti i proscioglimenti, rischia di travolgere anche processi archiviati per i quali, però, le indagini potrebbero essere riaperte con successo: sul punto ci si aspetta un chiarimento.
La possibilità che un imputato assolto possa direttamente citare in giudizio il giudice apre una devastante e infinita stagione di conflittualità e intacca alla radice la serenità di chi giudica. Siccome c’è già oggi la responsabilità dei giudici per dolo o colpa grave, si vuole introdurre una sorta di responsabilità oggettiva per una qualsiasi decisione non gradita? Non credo che esista al mondo un ordinamento giudiziario che la preveda.
La riforma poi non incide minimamente sulla funzionalità del sistema che rimane lento e farraginoso. Anzi, le proposte di legge di questo governo tendono proprio a rendere il processo penale più lungo per avviarlo alla prescrizione o a una fine ravvicinata e mai a una sentenza in tempi brevi. Gli accorciamenti dei tempi di prescrizione, le proposte di legge sul processo breve o sul potere delle parti di chiedere in giudizio qualsiasi mezzo di prova a pena di nullità, tendono più alla morte del processo che alla sentenza definitiva. La tanto invocata Europa ci chiede tempi processuali più brevi e certo non più prescrizioni. Con questa riforma «modernizzatrice», stravolgendo il principio di uguaglianza, stiamo sovvertendo un impianto costituzionale che, nel bene e nel male, ci dava la possibilità di essere tutti uguali dinnanzi alla legge.

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