Quando la dialettica viene scambiata per invidia

1 Marzo 2011
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Giuseppe Pala

Continuiamo la riflessione sulla democrazia, tanto invocata quanto compressa, con un ulteriore intervento, che trae spunto dalle rivolte dei popoli afro-mediterranei.

Da alcune settimane il mondo occidentale sta assistendo inorridito alle drammatiche immagini che ci pervengono da Paesi non molto distanti dal nostro e con i quali esiste oramai uno stretto legame culturale, economico e commerciale. Le varie rivolte popolari che si sono succedute in questi ultimi giorni in Libia e prima ancora in Egitto e Tunisia, hanno messo a nudo i limiti se non i paradossi di Stati che sulla carta apparivano “ Democratici” ma che in realtà tali non erano. Immagini di Popoli che in virtù di un principio naturale, hanno sfidato il terrore di un potere tirannico in nome di un solo ideale: la Libertà. Può apparire demagogico ma alla resa dei conti ogni uomo, gruppo sociale o Popolo, la sua libertà la deve conquistare con il proprio sangue, combattendo contro coloro che in nome di una superiorità spesso mistica, reprimono le genti nel totale oblio della paura. In questa sorta di autodeterminazione, possiamo leggere a chiare lettere un messaggio rivolto in particolare a tutti a coloro che, convinti di una propria superiorità, si arroccavano il diritto di poter esportare modelli di democrazia occidentale in paesi martoriati e sottomessi da evidenti e compiaciute tirannie. Da quando nel mondo occidentale ha avuto inizio la dilatazione dello spazio geografico, si è sempre portata avanti una politica di eurocentrismo, convinti di doverci fare carico di quell’ingrato compito di educare ed elevare i popoli a noi vicini, che lo stesso Rudyard Kipling definì: The White Man’s Burden (il fardello dell’uomo bianco).
Spesso ci si convince che la sola esistenza di alcuni elementi possa definire democratico un sistema; un pluralismo politico zoppicante, una scarsa partecipazione politica della popolazione, non sono sinonimi di solida Democrazia.
Quando si cerca di definire una Democrazia, il compito diventa difficile poiché la quasi totalità dei Paesi si considera democratico, anche quando in essi sono assenti, o represse nel loro interno, le più elementari forme di libertà. Oggi possiamo definire Democrazie le liberal-democrazie di massa nelle quali è presente un suffragio universale maschile e femminile, in cui è garantita la reale partecipazione politica della popolazione femminile e maschile, la possibilità del dissenso, dell’opposizione e in ultima istanza la possibilità di poter esprimere il proprio pensiero, anche quando questo non è condiviso dal resto della maggioranza. A questi sostanziali requisiti, è giusto aggiungere una capacita di opinione pubblica, nella quale s’interagisce rispettando la parte avversa o presunta tale.
Anche in Italia, paese che si annovera tra gli Stati a maggior tasso di democratizzazione, spesso l’espressione del proprio pensiero è considerata non come una variabile costruttiva ma sinonimo d’invidia o gelosia verso un potere, che si sente minacciato dalla stessa dialettica, e spesso quest’arroganza del potere non proviene da statisti o colonnelli, ma da semplici Masanielli che vedono nel confronto, nella comunicazione e in ultima analisi nel dissenso altrui l’ultimo ostacolo verso il mantenimento di uno status quo.

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