Gianluca Scroccu
Al giornalista Livio Zanetti, che nel 1985 gli chiedeva di darsi una pagella alla fine del suo settennato, Sandro Pertini rispose: «Ha cercato di comportarsi da uomo onesto e di interpretare le aspirazioni degli onesti. Può essergli accaduto di farlo con troppa passione e insistenza, disturbando certi temperamenti delicati. A costoro, chiede scusa». Sono passati trent’ anni da quell’8 luglio del 1978 in cui il vecchio partigiano socialista venne eletto alla massima carica dello Stato. Certamente l’Italia di oggi è molto diversa da quella che lo salutò come Presidente della Repubblica, ma la sua figura continua ad essere molto amata dalla popolazione (da un popolo, quello italiano, che difficilmente ha un buon ricordo dei politici scomparsi). Da dove deriva questo affetto? Probabilmente in Pertini gli italiani videro un politico che non esitava ad essere vicino ai cittadini nelle fatiche del quotidiano, senza mai abdicare a quei principi di assoluta integrità morale e di servizio che ogni politico deve rispettare nel suo impegno pubblico. Principi che lo avevano portato, giovanissimo, ad aderire alla causa del socialismo italiano, sotto l’insegnamento di quelli che lui considerò sempre i suoi maestri, Filippo Turati e Claudio Treves. Una militanza socialista che lo condusse a scontrarsi eroicamente contro la dittatura fascista, della quale fu uno dei più tenaci oppositori, ricevendone in cambio pestaggi, soprusi, bastonature e soprattutto più di quindici anni di carcere (dove, a dispetto delle lacerazioni fra comunisti e socialisti, intrecciò una bellissima amicizia con Gramsci); successivamente, caduto il fascismo, fu invece uno dei protagonisti della Resistenza, partecipando alla liberazione di Firenze, mentre a Milano guidò con Leo Valiani e Luigi Longo l’insurrezione del 25 aprile. La Resistenza, per Pertini, fu del resto un «secondo Risorgimento», un’esperienza collettiva e popolare di lotta per la libertà e il riscatto di un popolo che aveva scelto di opporsi agli orrori del nazifascismo e di inserirsi così nel novero delle nazioni democratiche (chissà cosa avrebbe detto delle polemiche odierne sul “sangue dei vinti”, lui che ad un deputato del MSI che gli aveva chiesto se avesse mai perdonato i suoi persecutori, aveva risposto: «Come potrei vivere se non avessi perdonato? Perdonato si, tutti. Dimenticato, no»).
La sua presidenza della Repubblica si ispirò sempre ai principi costituzionali e all’identità antifascista. Il suo costante richiamo ai temi dell’attualità e universalità dei valori della libertà e del progresso sociale, della tolleranza di ogni genere di diversità, il riferimento alla costruzione dell’Europa Unita, gli appelli in favore della pace e della necessità dell’emancipazione del Terzo Mondo (famosa la sua frase pronunciata in occasione del messaggio presidenziale di fine anno del 31 dicembre 1979: “Si svuotino gli arsenali, si colmino i granai”), ebbero un’importante funzione di crescita per la coscienza civica degli italiani. Così come fondamentali furono i suoi richiami all’esigenza della moralizzazione della vita pubblica (espressa per esempio, contro la P2 o i casi di corruzione anche di compagni di partito), oltre alla lotta alla criminalità organizzata (famoso il suo discorso a Palermo il 26 gennaio 1983 in occasione della seduta straordinaria del CSM presso la Corte d’appello successiva al barbaro assassinio da parte della mafia del magistrato Ciaccio Montalto) e alla ferma opposizione contro la sanguinosa strategia del terrorismo di estrema destra e di estrema sinistra che insanguinavano l’Italia; del resto, già nel discorso di insediamento, il suo ricordo era andato alla figura di Aldo Moro, l’uomo che se non fosse stato ucciso, avrebbe sicuramente occupato la sua carica.
Quel suo stile che tanto piaceva agli italiani, mentre irritava spesso stampa e politici che lo accusavano di uscire dalle sue competenze, segnò un’epoca e contribuì a rafforzare lo spirito nazionale. E favorì la diffusione all’estero di un’immagine di un’Italia pulita, onesta e coraggiosa.
Non nascose mai la sua schiettezza, i suoi umori e il suo temperamento; forse, gli italiani, abituati a convivere con una politica che della “doppiezza” aveva fatto una delle sue categorie principali, amarono proprio questo non essere mai “doppio” del vecchio presidente socialista.
Lo stile presidenziale di Pertini era questo: niente pose, mai un atteggiamento studiato (anzi spesso la sua spontaneità creava qualche grattacapo ai responsabili del protocollo), nessun copione, nessuna concezione a forme magniloquenti e vane di estetica, espresse per esempio nella decisione di far togliere i guanti all’autista e le livree ai camerieri del Quirinale (eppure era un uomo che teneva moltissimo all’eleganza, come ha ricordato nella sua autobiografia il suo successore e amico Francesco Cossiga).
Con lui gli italiani ebbero viva l’impressione che la politica debba essere sempre intesa come impegno serio verso la libertà e la giustizia sociale, rifuggendo invece dagli interessi personalistici e dalla corruzione; Pertini, insomma, esercitò un ruolo chiave nel ricreare intorno allo Stato un clima di fiducia nelle istituzioni e nei valori repubblicani.
Quando morì, nonostante fosse stato un protagonista della vita del paese, preferì uscire di scena senza celebrazioni o maestosi funerali di Stato. Chiese una cerimonia privata e di essere cremato, come un qualsiasi cittadino: i grandi uomini sono semplici anche nella morte.
1 commento
1 A.P.
8 Luglio 2008 - 12:50
GL Scroccu, col quale dobbiamo complimentarci per aver dato alle stampe una biografia di Pertini, ci ricorda un uomo straordinario e certamente il Presidente più amato dagli Italiani. L’affetto nasceva dalla ferma convinzione di tutti e di ciascuno che di Pertini ci si poteva fidare ciecamente, perché diceva sempre quel pensava e perché non si sarebbe mai piegato a compromessi. Del socialismo italiano riassumeva, dunque, gli aspetti migliori, compresa la passione per i fatti popolari, dai campionati di calcio alle tragedie umane (Vermicino). Vedendo la situazione odierna con leaders grotteschi e governatori ridicoli, vien da rimpiangere figure come quella di Pertini (anche se non bisogna dimenticare che allora già era in auge Craxi). Abbiamo poi il dovere di chiederci come tutto questo sia potuto accadere per tentare di correre ai ripari.
Lascia un commento