Carlo Dore jr.
Inizio da dove Pietro Maurandi ha concluso la sua analisi, nel tentativo di offrire un’ulteriore chiave di lettura del risultato delle primarie cagliaritane. Quando l’esito della consultazione ha iniziato a delinearsi nella sua effettiva portata, la mia disincantata dimensione di progressista scettico ha cominciato fatalmente a scontrarsi con la strana – ed a tratti inspiegabile – ubris (tracotanza) che si è impadronita di alcuni eterogenei strati dell’area democratica cagliaritana, riscopertasi impiegata nell’attuazione di un progetto di rinnovamento indecifrabile tanto nei contenuti quanto nei protagonisti principali.
A distanza di dieci giorni dal voto, quando la festa è finita e gli slogan hanno cessato di invadere i social network, quando le bandiere delle varie fazioni in lizza sono state accantonate insieme ai manifesti di un Nichi Vendola propostosi ai Cagliaritani in una tanto inedita quanto discutibile versione dark, rimane forse spazio per proporre alcune riflessioni all’attenzione di quanti si sono assunti l’onere di gestire la prossima, sfibrante campagna elettorale: riflessioni fondamentalmente cristallizzabili in tre considerazioni al veleno.
In primo luogo, le consultazioni del 30 gennaio hanno tristemente certificato la crisi di un PD sconfitto ancora una volta più dalle proprie carenze intrinseche che dall’incisività delle proposte programmatiche del candidato di SEL, onesto ed apprezzato politico di lungo corso il cui profilo (malgrado la giovane età) risulta essere invero poco compatibile con il modello del “candidato antipolitico” erroneamente tratteggiato da alcuni autorevoli analisti della stampa locale. La crisi del PD è la crisi di un partito senza una struttura in grado di garantire il completamento dei procedimenti decisionali, immancabilmente condizionati dall’inestricabile ginepraio di malumori interni, rottamazioni dell’ultima ora e insuperabili veti incrociati. Di più: la crisi del PD è una crisi di progetto, è la crisi di un partito immobile che, nell’incapacità di individuare per tempo una personalità “civica” (e, come tale, non direttamente collegata agli apparati) da proporre come valida e condivisa opzione per il governo del Capoluogo, ha sperato che l’esperienza ed il prestigio di un collaudato dirigente nazionale potessero coprire i limiti di struttura a cui ho appena fatto cenno.
In secondo luogo, anche gli elettori di Cagliari hanno confermato il fallimento dell’attuale configurazione delle primarie, le quali, lungi dal costituire un momento di unità e di partecipazione dei militanti ai processi decisionali, appaiono sempre più come un indicatore della debolezza delle forze politiche, costrette a demandare ad una fetta sempre più ristretta ed indefinibile di elettorato (della quale si persevera nel non definire la provenienza) il compito di delineare equilibri ed assetti di potere.
Partiti dissanguati, militanti delusi, urne vuote, leadership più o meno improvvisate, primarie poco partecipate e, di conseguenza, poco legittimanti. La mia analisi si conclude con la terza riflessione al veleno: con la sensazione che, anche a sinistra, si stia diffondendo sempre più una visione della politica semplificata e “deideologizzata”, nella quale il carisma (o, più semplicemente) l’appeal del leader viene considerato sufficiente a colmare il gap derivante dalla mancanza di un progetto ampiamente condiviso; nella quale la semplicità dello slogan è destinata a prevalere sulla complessità di un programma di ampio respiro.
E’ da questa sensazione che viene alimentata la strana ubris (tracotanza) che oggi pervade parte del centro-sinistra cagliaritano, inebriato dall’ansia di un rinnovamento di cui ancora non è dato comprendere l’effettiva portata. Una ubris per questo destinata a scontrarsi con quel patrimonio di idee, di convinzioni e di valori che, dopo avere sostenuto la sinistra nelle varie tappe che hanno scandito il secolo breve, viene oggi messo in discussione dal vangelo della politica ai tempi di facebook: una ubris per questo destinata a scontrarsi con la mia amara condizione di progressista scettico.
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