Pasquale Faiella
MILANO - Un Palasharp gremito in ogni ordine di posti con oltre diecimila persone non per ascoltare un concerto rock ma un parterre di intellettuali, filosofi, giornalisti con centinaia di persone fuori dai cancelli incollate ai maxischermi. Un’immagine che ha ricordato il rendez-vous del Palavobis - allora si chiamava cosi’ - del dopo ‘Resistere, resistere, resistere’, nel febbraio del 2002. Era il decennale di Mani Pulite e il ‘target’ era Berlusconi. Oggi alla vigilia del ventennale di Mani Pulite, in pieno caso Ruby, la folla del Palasharp a Milano si e’ riunita sotto le insegne di ‘Liberta e Giustizia’ per chiedere le dimissioni del premier.
Sul palco Roberto Saviano - senza mai citare Berlusconi - che espone e scandisce un suo cavallo di battaglia: la macchina del fango ”che colpisce chi critica il governo”, e poi si sofferma sul voto di scambio (con un monito esplicito alle polemiche sulle primarie del Pd di Napoli) che ”non ha colore” e che tiene ”la democrazia in ostaggio”.Poi Gustavo Zagrebelsky, Umberto Eco (’’siamo qui per salvare l’onore dell’Italia”), Susanna Camusso (”Il Paese e’ inchiodato da due anni e mezzo da quando questo governo ha fatto finta che la crisi non c’era”), Paul Ginsborg e Oscar Lugi Scalfaro in videoconferenza, Sandra Bonsanti, presidente di ‘L&G’. Ed ancora Moni Ovadia, Concita De Gregorio, Gad Lerner. Il Palasharp - in maggioranza una platea di over 40 - applaude, urla ‘dimissioni’, ma sono ovazioni quando echeggia dagli altoparlanti la riflessione di Saviano, tutta rivolta alla sinistra e al Pd.
”Il voto di scambio non ha colore - scandisce Saviano - la ferita di vedere persino fare le primarie e perderle e’ stata l’ennesima dimostrazione di quanto di questo meccanismo non se ne parli mai. Il voto di scambio e’ come se fosse un problema del passato e invece compromette la democrazia. Ci ritroviamo con migliaia e migliaia di voti comprati. Negli anni scorsi, all’epoca della Democrazia Cristiana si dava un voto in cambio di un posto di lavoro. Oggi un voto vale 50 euro per le politiche e 15 per le primarie”. Poi citando la rivoluzione liberale di Gobetti spiega: ”Penso che possa esistere il sogno che fu di Gobetti: rivoluzione, oggi, e’ cercare di parlare all’altro. Oggi stiamo parlando tra noi. La vera rivoluzione e’ cercare di parlare all’altra parte del Paese cercando di convincerla, mostrare che qui non si tratta di una parte che deve vincere sull’altra ma del destino di un intero Paese, oserei la parola ‘nazione’.
Allora forse e’ anche il tempo di evitare di compiacersi di essere minoranza, di evitare di amare la logica della divisione. E’ il tempo di trovare affinita’ piu’ che divergenze e di smetterla con la concorrenza di chi e’ piu’ puro, di chi e’ piu’ traditore, di chi ha la corona”. Pochi minuti prima Umberto Eco aveva affermato: ”Siamo venuti qui a difendere l’onore dell’Italia - ha detto lo scrittore - per ricordare al mondo che non tutti gli italiani farebbero lo stesso, che non tutti i padri dicono alle figlie ‘dai dai che ci guadagniamo qualcosa’, non saremo molti rispetto alla maggioranza del Paese, ma ci siamo”. Dignita’ e onore, parole che sembrano desuete quelle di Eco che ha concluso: ”Pochi mesi fa all’estero mi rivolgevano sorrisi di solidarieta’, ora invece ci guardano male e chiedono ‘ma perche’ voi non dite nulla?’ Perche’ fa piu’ rumore un reggiseno che cade di un articolo di fondo”.
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