Nel buio di via Caetani

5 Gennaio 2011
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Carlo Dore jr.

Questo non è un articolo nel senso tradizionale del termine: non mira ad offrire la ricostruzione di un fatto di cronaca, ad individuare una particolare lettura di situazioni controverse, a proporre nuove soluzioni per i tanti problemi che affliggono la nostra difficile quotidianità. No, la funzione di questo scritto è un’altra: riflettere su una storia, su come questa storia si è sviluppata e su come avrebbe potuto ipoteticamente svilupparsi, considerate quelle che erano le sue premesse iniziali.

Cammino per il centro di Roma in una fredda serata di fine dicembre: le luminarie accese richiamano il Natale appena passato, i manifesti del PD denunciano lo scandalo della parentopoli allegramente creata da Alemanno (ex militante duro e puro di quella destra azionista e reazionaria, immeritatamente fregiatasi dello slogan: “mani pulite ed idee chiare”) nei suoi primi due anni al Campidoglio, e la bandiera tricolore davanti a Palazzo Grazioli ricorda beffardamente a tutti gli anti-berlusconiani inferociti che il crepuscolo del Cavaliere non è ancora terminato.
Dietro Piazza Venezia, il vecchio Bottegone ha conservato l’aspetto austero che lo caratterizzava nelle vittorie e nelle sconfitte, identico a se stesso tanto in occasione della debacle del 1979 quanto nella magica notte del 1996, quando una folla festante celebrava sotto la grande bandiera la realizzazione di un progetto sostenuto per cinquant’anni da due generazioni di progressisti: la sinistra al governo del Paese, il definitivo superamento dell’incubo del partito anti-sistema. Oggi, alcuni uffici hanno preso il posto della segreteria del PCI e del PDS, e la redazione de “Il Riformista” occupa i locali della mitica libreria “Rinascita”. Alemanno e “Il Riformista”, i manifesti bianchi del PD e la bandiera di Palazzo Grazioli: è come se Roma volesse comunicare la sentenza della Storia, la sentenza con cui la Storia afferma che la sinistra è stata sconfitta, che noi siamo stati sconfitti.
Poi, per uno di quegli strani scherzi che i ricordi sanno fare, il suono di una voce ha iniziato a coprire il frastuono delle auto, i rumori della città, il chiacchiericcio ossessivo dei turisti in marcia verso l’ultimo monumento della giornata: è una voce giovane, lievemente alterata da un apparecchio telefonico, riprodotta mille e mille volte in telegiornali, documentari e reportage di ogni tipo. Le parole pronunciate da quella voce giovane e metallica hanno attraversato un quarto di secolo senza perdere la loro drammatica intensità, scolpite come sono nella pietra della memoria, nella pietra della paura: “…in via Caetani…in via Cae-ta-ni…che è la seconda traversa a destra di via Delle botteghe oscure”. In via Caetani, in via Caetani: cosa è successo, in via Caetani?
Imbocco la seconda traversa a destra di via Delle Botteghe oscure e mi trovo in una strada stretta e senza lampioni, piena di macchine parcheggiate lungo il muro di un palazzo di ristrutturazione: una strada buia, che sembra davvero perdersi nelle tenebre della più profonda Notte della Repubblica. Perché quella strada non è solo una strada, perché in quel buio c’è qualcosa di più di una fila di auto in sosta: c’è la tomba di Aldo Moro, vittima consapevole di un gioco al massacro consumato all’ombra dei palazzi del potere, variamente dislocati tra Washington e Mosca, al solo scopo di rafforzare la consistenza di quel maledetto muro grigio che per anni ha determinato le sorti del Mondo. C’è la fine di un sogno, il sogno di due visionari che volevano trasformare l’Italia in una democrazia compiuta, affrancata sia dalle trame della CIA che dai carri armati dell’Armata Rossa: la DC, da Scelba al cattolicesimo democratico; il PCI, dagli Sputnik al centro-sinistra. C’è la speranza di un Paese diverso, spezzata a colpi di kalashnikov nel bagagliaio insanguinato di una Renault 4 rossa, parcheggiata lungo quello stesso muro di quello stesso palazzo in ristrutturazione.
Come in un film di seconda visione, dal buio di Via Caetani iniziano ad emergere volti, fatti, ipotesi, teorie e teoremi: politici e politicanti, eroi e spioni, monsignori americani e banchieri milanesi, bande criminali che sognavano di conquistare Roma e corpi paramilitari creati per alterare il regolare andamento della vita democratica. Treni che esplodono e strette di mano, logge nere e brigate rosse, Piazza Fontana e la stazione di Bologna: capitoli, paragrafi, protagonisti e comparse, di quel potentissimo,drammatico, dolente romanzo delle stragi che è stata la storia italiana del dopoguerra.
Nel buio di Via Caetani, mi trovo a immaginare quale Paese avrei conosciuto se quella telefonata non fosse mai partita, se quella Renault rossa non fosse mai stata parcheggiata lungo quel muro, se quella strada fosse rimasta solo una strada: forse, il CAF non sarebbe mai esistito, e non si sarebbe mai arrivati alla costruzione di quella città delle tangenti disvelata, indagine dopo indagine, dalla monumentale azione investigativa del Pool di Mani Pulite. Craxi sarebbe rimasto un piccolo capo-bastone privo di potere decisionale, incapace come tale di alimentare quel circuito vizioso della Milano da bere di cui il bunga-bunga di Berlusconi costituisce il prodotto principale: nessuna bandiera sventolerebbe dinanzi a Palazzo Grazioli, la parentopoli neofascista di Alemanno si ridurrebbe a qualche sparuta bicchierata tra nostalgici lontana anni-luce dagli splendori del Campidoglio, e il PD potrebbe orgogliosamente vantare la propria natura di partito di sinistra, senza dover ricorrere agli strani equilibrismi che lo vedono eternamente sospeso tra sostegno alla grande impresa e tutela del mondo lavoro. Forse, avrei conosciuto un Paese diverso, un Paese più giusto e più vivibile da quello che Roma offre agli occhi dei turisti in marcia in questa strana sera di fine dicembre, mentre mi allontano per le vie della Capitale, sconfitto ancora una volta dal buio di Via Caetani.

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