Impunità o immunità? Garanzia o privilegio?

9 Luglio 2008
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Andrea Pubusa

Ricordate il vecchio art. 68 della Costituzione, quello originario? Prevedeva l’autorizzazione a procedere per i membri del Parlamento ad opera della Camera di appartenenza. L’autorizzazione occorreva anche per le perquisizioni, intercettazioni e per l’arresto, salvo fragranza di gravi reati. E ancora occorreva l’assenso della Camera di appartenenza perfino per l’arresto in esecuzione di sentenza passata in giudicato. E così se per autorizzare l’inizio delle indagini doveva mancare il fumus persecutionis (il procedimento cioè non doveva essere ispirato da motivi politici, dall’intendimento di colpire l’uomo politico o di screditare la sua parte), neppure questo si richiedeva alla fine quando la sentenza di condanna diveniva definitiva. Insomma, il principio era chiaro: essendo il Parlamento un organo sovrano, la sua composizione la decide il Parlamento stesso, non gli organi giudiziari. E il parlamentare viene garantito anche dalle iniziative sconsiderate o mirate dei magistrati. Certo, c’era una forte controindicazione, e cioè che la maggioranza proteggeva i suoi membri e spesso, per spirito di corpo (oggi si dirà di casta), anche quelli dell’opposizione, ma l’equilibro con la magistratura era mantenuto. Le iniziative giudiziarie spericolate venivano stoppate alla fonte. In altre parole, più che di un privilegio, si trattava di una garanzia della rappresentanza.
Nel 1993, sull’onda di tangentopoli, l’art. 68 è stato modificato. E’ stata eliminata l’autorizzazione a procedere, lasciando i parlamentari in balìa della magistratura nella fase iniziale delle procedure, forse quella più bisognevole di temperamento e certamente di maggior impatto mediatico. Si è spezzato così l’equilibrio originario, frutto di una lunga tradizione parlamentare, nella convinzione di eliminare un ingiusto privilegio. Il risultato è sotto i nostri occhi. Sull’onda dell’apatia generale un premier plurindagato e spregiudicato propone e farà approvare una legge, che gli consentirà – si fa per dire – di ammazzare la moglie o l’amante o il proprio avversario politico, senza conseguenze! Una vera aberrazione! Non una garanzia ma un privilegio! Impunità, non immunità parlamentare!
La vicenda suggerisce una considerazione più generale: spezzare gli equilibri enucleati col bilancino in decenni o secoli di storia costituzionale è pura follia. Lo squilibrio presto o tardi pretende un rimedio, che solitamente è peggiore del male che ci si era illusi di aver eliminato. Secondariamente, ciò che appare un privilegio personale, nel caso della rappresentanza è invece una necessaria tutela della sovranità dell’organo, è una garanzia costituzionale. Si tratta, dunque, non di negarla, semmai di ridurla all’essenziale, cioè di farla rimanere garanzia. Infine, sarebbe auspicabile che, anziché approvare il lodo Schifani, si tornasse al testo originario dell’art. 68. Certo, Berlusconi sarebbe comunque salvo (almeno fintanto che ha la maggioranza parlamentare), ma il sistema non verrebbe messo in tensione da un continuo attacco alla magistratura. Non solo e reciprocamente, alcuni magistrati disinvolti incontrerebbero nelle loro iniziative sconsiderate il temperamento preventivo dell’autorizzazione a procedere. In altri termini, avremmo una garanzia e non un privilegio. Pensate, col vecchio art. 68, Clemente Mastella probabilmente sarebbe ancora Ministro della Giustizia e Prodi Presidente del Consiglio (Dini permettendo…). Mentre quel magistrato che ha avviato un’azione contro i Mastella, marito e moglie, certamente in modo avventato, non avrebbe potuto fare impunemente tutto il danno che ha fatto.

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