Michele Prospero
Michele Prospero su il manifesto del 16/12/2010 ha scritto questo editoriale, che volentieri pubblichiamo perché stimola il dibattito in corso nell’ambito della sinistra.
Quali sono le prospettive che si aprono dopo il voto della camera? Con i metodi brutali di acquisizione del consenso che esprimono al meglio lo spirito del suo tempo, Berlusconi assesta un duro colpo ai nemici ma si ritrova solo con un incerottato governo di minoranza in mano. Potrà forse, resistendo ancora un po’ nel fortino assediato di palazzo Chigi, riuscire a strappare qualche altro voto e portarlo a sostegno della sua (poco) nobile causa. Con questo trasformismo molecolare non potrà andare molto avanti nella sua azione secondo un indirizzo politico di maggioranza. Non perché il cavaliere abbia davvero una strategia politica diversa da quella del puro tirare a campare per evitare brutti guai. Ma dell’obiettivo di allargare la sua incerta maggioranza non se ne parla proprio anche adesso che la Lega non farebbe più la voce grossa.
Incassata la agognata sopravvivenza, il cavaliere busserà inutilmente, se davvero poi lo farà, alle porte sbarrate del centro. Non troverà molti inquilini disposti ad ascoltare le sue sirene. Neanche le pie raccomandazioni di qualche alto prelato o la minaccia di fare caccia grossa tra le fila scudocrociate riusciranno ad aprire una breccia significativa perché la rottura di Casini era stata consumata per ragioni sistemiche oggettive e non per calcoli di corto respiro. Sarebbe davvero una ben strana mossa quella di un improvviso soccorso bianco al cavaliere proprio quando il bipolarismo si conferma esangue. Casini non ha alcuna convenienza politica a ridare un pericoloso ossigeno al cavaliere e ad infliggere il colpo micidiale a Fini. Il leader dell’Udc viene da una scuola troppo importante per ignorare che esiste oggi una convenienza sistemica (cui persino il Pd non potrà dirsi estraneo) a contribuire alla sopravvivenza politica del gruppo di Fli.
Una convergenza al centro pare inevitabile. E non si tratta peraltro di un semplice e costoso ripiego imposto dal destino crudele ad una banda umiliata e confusa. Il voto, malgrado tutto, introduce un elemento di chiarezza spezzando l’equivoco, che Fli non aveva mai dissipato, che vedeva gli uomini di Fini barcamenarsi tra annunci di permanenza nella area della destra (di cui si contestava solo la distruttiva leadership berlusconiana) e ammiccamenti verso le aggregazioni terzo poliste. Qual è oggi la reale identità di Fli? Partito da Sarkozy, per definire il suo profilo di politico di una destra moderna, in realtà Fini scopre maggiori affinità elettive con la Merkel. La sua cultura politica su punti cruciali è molto più assimilabile a quella del cancelliere tedesco che non a quella populistica dell’Eliseo. Il voto dell’aula non bloccherà le grandi manovre al centro, anzi per certi versi le accentuerà. Il terzo polo, che registra l’infondatezza del bipolarismo attuale e il decadimento berlusconiano, è destinato a compiere un tratto di strada insieme con la sinistra. Non ha alternative a un compromesso con la sinistra (su temi essenziali come la legge elettorale, la contrattazione nazionale, la precarietà, il ruolo del pubblico, i diritti civili).
E la sinistra? Dovrebbe ripensare al ventennio funesto che ha alle spalle e schivare ogni tentazione di competere con la destra accettando il suo prediletto terreno, quello del populismo e del leaderismo. Nei primi anni ‘90 fu la sinistra a evocare il fantasma del cesarismo. La fata malefica referendaria aveva ormai accecato la lucidità politica. Segni invitò i cittadini a travolgere il Quirinale di cartoline con l’invito a incaricarlo quale presidente del consiglio.
Occhetto non fu da meno e arrivò a concepire una raccolta popolare di firme per indurre il capo dello Stato a sciogliere anticipatamente le camere “delegittimate”. Padri involontari della seconda repubblica populista e cesarista sono stati gli apprendisti stregoni del nuovismo e del direttismo.
Rimosso il vano chiacchiericcio sulla vocazione maggioritaria, al Pd non resta altro compito realistico che quello di operare come una forza cerniera in grado di costruire una grande coalizione tra quanto si muove alla sua sinistra e le forze che si raccoglieranno attorno al centro moderato. In passaggi come quelli odierni, che evocano comunque un salto di qualità, occorrerebbe sempre riaprire il terzo capitolo del Principe. Machiavelli vi scriveva che anche «nelle cose di stato», come nella malattia del corpo fisico di ognuno, «nel principio del suo male, è facile a curare e difficile a conoscere, ma, nel progresso del tempo, non l’avendo in principio conosciuta né medicata, diventa facile a conoscere e difficile a curare». All’inizio di una vicenda caotica e inedita nelle sue manifestazioni molto difficile è capire il senso degli eventi, più semplice è però affrontarli con il piglio adeguato una volta che se ne ha la percezione. Se si trascurano i dettagli più rilevanti dei processi in corso si fallisce non solo nella diagnosi ma anche nell’azione politica. Così avvenne nel 1993 quando un processo fortemente regressivo in atto nel paese fu interpretato in maniera del tutto fantasiosa come la rivoluzione italiana ormai trionfante.
Se la crisi del sistema berlusconiano ha potuto evolvere fino ai limiti del collasso definitivo ciò è dovuto in gran parte alla proposta forte avanzata in estate di un governo di transizione. Con essa è stato possibile accompagnare lo sfilamento di Fini dal Pdl. Quando era ormai sul punto di tramortire, Berlusconi ha scongiurato con le unghie la perdita di potere. In nessun altro paese un leader così malandato riuscirebbe a conservare il potere. Il suo stesso partito avrebbe tutto l’interesse a sostituire un cavallo azzoppato e inadeguato. Ma il Pdl non è un partito, è una persona sola al comando che difende la fortezza del potere quale che siano i costi dell’arroccamento cieco sul piano istituzionale. Malgrado la battuta d’arresto del voto, l’escrescenza del cavaliere è ancora “facile a curare” purché si operi però con la consapevolezza che il sistema è avvitato in una crisi. Per uscirne occorre un altro gioco, non quello vecchio tutto all’insegna del bileadersimo. All’opposizione tocca costruire un’alternativa di sistema politico.
Con il voto della camera la proposta del governo di transizione cessa di essere una proposta credibile e in grado di immettere dinamismo nel sistema. Ha giocato per intero la sua funzione, ora occorre cambiare carta. In questa legislatura non sono più immaginabili governi senza il cavaliere. Ora è lui a condurre le danze. Può campicchiare (ma la Lega lo permetterebbe?) ma non governare perché costretto a convivere con frequenti imboscate. La tentazione del voto è troppo allettante. Berlusconi del resto ha ottenuto quello che voleva: salvare le pelle e con in mano la fiducia andare al Quirinale per richiedere un voto anticipato. In questo duello finale con il colle il cavaliere stavolta ha armi convincenti dalla sua parte. Non è come nel 1994 quando senza più i numeri dalla sua andò da Scalfaro a sollecitare il ritorno alle urne. Non poté ricevere il gradito dono perché Forza Italia era allora solo il terzo partito e quindi in aula erano possibili altre soluzioni di governo che in effetti furono sperimentate. Ora è diverso. Il voto ha dato a Berlusconi la certificazione che la sua proposta di urne subito gode dei consensi della maggioranza. È difficile per il Quirinale opporre resistenza.
Andare al voto con questa legge elettorale per il cavaliere è un’ipotesi di alto gradimento. Con il 40 per cento dei voti potrebbe ancora spuntarla e prendersi così il 55 per cento dei seggi per poi virare vero il Colle. Il suo calcolo è che le opposizioni tra loro ideologicamente molto distanti marceranno in ordine sparso e quindi, con il 60 per cento dei consensi, si accontenteranno di spartirsi il 45 per cento dei deputati. Dinanzi alla cupa prospettiva di un cavaliere trionfatore occorre inventare qualcosa di nuovo come risposta ad una triste emergenza. Al voto con una grande alleanza costituzionale che si doti di un programma minimo e trovi su alcuni punti qualificanti dei compromessi di alto profilo? È molto difficile, ma forse se ne riparlerà.
1 commento
1 Nicola
18 Dicembre 2010 - 20:21
Lukashenko è il modello cui aspira Berlusconi.Lo ha elogiato, il popolo lo ama col 92% di consensi! Grande aspirazione di B. Se non vogliamo viaggiare verso tali lidi bisogna mettere da parte le categorie della dialettica politica che si usano in una democrazia più o meno decente. Quella che pratica e gestisce Berlusconi con la sua banda di camorristi,fascisti, ladri e piduisti è assolutamente indecente.
Troppo a lungo ci si è illusi che questa banda potesse essere trattata da avversari politici. Sono nemici della Costituzione, dei valori che propone. Immaginiamo un personaggio come il nano Presidente della Repubblica! Pr un grande obiettivo come quello di sconfiggere col voto questa gente si può per un perido determinato mettere da parte lecatogorie tradizionali e realizzare alcuni punti che conesentano di riprendere la dialettica tra partiti e valori, nel solco della costituzione antifascista e repubblicana che ancora abbiamo, riprendere un cammino. Se non ci si prova….Il fondo di Prospero aiuta a riflettere e a prendere in considerazione più seria qanto sostiene ilPD di Bersani a cui non ho aderito ma che resta comunque il più signiificativo ragguppamento per una vasta alleanza elettorale capace di sconfiggere B. anche con questa porcata di legge elettorale.
Lascia un commento