Carlo Dore jr.
Il finale di quello che alcuni commentatori hanno descritto come “il giorno più lungo dell’era berlusconiana” sembra davvero ispirata alla scena conclusiva de “Il Caimano” di Nanni Moretti: il Cavaliere si concede all’applauso della sua variegata platea di ministre, coordinatori, pontieri e cortigiani di vario ordine e grado; il suo governo è salvo grazie al ribaltone praticato da tre ex oppositori reclutati in tutta fretta attraverso pratiche di mala politica di cui spetta alla Magistratura verificare la legalità. Intanto, fuori da Montecitorio, Roma è messa a ferro e fuoco da una moltitudine di contestatori inferociti: siamo alla sintesi perfetta, Berlusconi regna su un Paese in fiamme. Siamo alla sintesi perfetta: La Russa ride e Pompei crolla; Letta ragiona e L’Aquila è sommersa dalle macerie; la Mussolini si agita e Napoli affoga nei rifiuti. Arrivano Razzi, Calearo e Scilipoliti: il Governo è salvo, dove non arriva la fedeltà al Capo arrivano le mediazioni di Denis il banchiere e la forza persuasiva di Silvio il tycoon che idolatra Putin ed imita Gheddafi. Razzi e Calearo, Scipoliti e le colombe finiane: è l’estasi del berlusconismo, l’estasi del premier che Giuseppe D’Avanzo ha efficacemente definito “Il Predone”.
Ma ora che l’aula è vuota e che la battaglia è finita, ora che le grida dei vincitori si perdono nel buio di questa ennesima Notte della Repubblica, cosa resta di questa folle giostra di incontri e scontri, vertici e caminetti, dichiarazioni e smentite, conversioni e riconversioni che da mesi alimenta il sempre più derelitto circuito della politica italiana? Resta un Governo appeso all’esile filo del consenso di tre acrobati dei banchi parlamentari, contorti nel linguaggio e spudorati nella ricerca di prestigio e potere. Resta un Presidente del Consiglio in crisi di consensi e di credibilità, in fuga dagli anni che passano e dai processi che incombono, disperatamente abbarbicato alla sua immagine di self made man ed allo scudo del legittimo impedimento. Resta un Paese pericolosamente anestetizzato nella sua capacità di indignarsi, in cui opportunismo, trasformismo, corruzione e meretricio vengono proposti agli occhi dell’opinione pubblica come le normali componenti di quella falsa realtà che trasuda ogni giorno dagli editoriali di Minzolini come dalle interviste di Straquadanio.
Resta soprattutto quel “Vergogna! Vergogna! Vergogna!” sparato a pieni polmoni da Bersani sulla folla riunita in Piazza San Giovanni, meravigliosa zattera di democrazia sulla quale si appuntano le residue speranze di quanti ancora progettano giorni migliori per questa Italia alla deriva. “Vergogna! Vergogna! Vergogna!”: tre parole per sigillare il giorno più lungo di Razzi e Scilipoti, dei cambi di casacca e dei mutui da pagare. “Vergogna! Vergogna! Vergogna!”: le ultime parole da spendere al crepuscolo dell’estasi del Predone.
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