La sanità ai tempi del neoliberismo (Parte 1)

29 Giugno 2008
1 Commento


Antonello Murgia
 
Le vicende della Clinica “S. Rita” di Milano (arresti per truffa, interventi chirurgici non necessari che hanno portato a morte numerosi pazienti, etc.) ripropone ancora una volta, in modo paradigmatico, le conseguenze della mercificazione dell’uomo e della salute che un neoliberismo mai sazio porta avanti senza sosta. Quando vengono alla luce fatti come quelli della “S. Rita” (emersi grazie ad intercettazioni telefoniche che Berlusconi sta provvedendo ad impedire) ci sono stupore ed indignazione; poi la macchina della propaganda e della disinformazione riparte, perché non c’è tempo da perdere, la torta è troppo allettante (abbiamo appreso che i medici della “S. Rita” arrotondavano lo stipendio mensile fino a 27.000 €; un medico ospedaliero con una quindicina d’anni d’anzianità ne prende meno di 3.000).
I cavalli di battaglia di questa campagna di disinformazione sono la spesa sanitaria fuori controllo ed il potere taumaturgico del mercato. La punta di diamante della formazione neoliberista in sanità è la regione Lombardia, il cui presidente Roberto Formigoni è organico a Comunione e Liberazione da cui è nata la Compagnia delle Opere; questa ha corposi e crescenti interessi in sanità (non solo in Lombardia: si veda ad es. il Lazio).
Fra i tanti vantaggi che la L. 833/1978 (che istituì il Servizio Sanitario Nazionale) apportò, ci fu anche quello di una gestione economica più vantaggiosa e con maggiori controlli rispetto al passato. Il risultato fu che agli inizi degli anni ’90 la spesa sanitaria espressa in % del PIL si ridusse per diversi anni di seguito. La Confindustria, coerentemente con il suo impegno di sempre a favore dell’impresa a tutti i costi (mai venuto meno: si veda il primo discorso da presidente di Emma Marcegaglia), levò il suo grido di dolore: la spesa sanitaria era troppo alta, era fuori controllo per cui occorreva affidarsi all’effetto purificatore del mercato e privatizzare. Era un progetto che ambiva a recuperare fette di mercato sanitario che l’imprenditoria privata (ça va sans dire, iscritta a Confindustria) andava perdendo. Il progetto trovava il suo sostegno teorico in quello che l’economista John Williamson nel 1990 chiamò “Washington consensus”. Questo affidava la soluzione dei problemi alla ricetta neoliberista: rigore economico, liberismo e privatizzazioni. Il “Washington consensus” nell’interpretazione che ne diede il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz (cui da allora il termine è generalmente attribuito) esprimeva la subalternità delle istituzioni economiche internazionali (FMI, Banca mondiale, etc.) agli interessi statunitensi. I suoi nefasti effetti sull’economia dei Paesi in via di sviluppo, ai quali fu principalmente applicata, sono stati descritti con rara efficacia nel saggio di Stiglitz “La globalizzazione e i suoi oppositori” (edito in Italia da Einaudi nel 2002). Gli effetti della dottrina neoliberista furono ancora più nefasti in campo sanitario dove il libero mercato produce costi elevati e qualità delle prestazioni scadente. Chi non fosse convinto di ciò può prendere i dati OCSE e mettere a confronto la spesa sanitaria degli USA con quella della Gran Bretagna (UK). I 2 Paesi sono omogenei per livello economico, cultura e tenore di vita, ma hanno una differenza: la spesa sanitaria negli USA è prevalentemente privata, mentre in UK è quasi esclusivamente pubblica. L’indagine OMS del 2000 ha riconosciuto al Servizio sanitario britannico una tutela della salute maggiore; la spesa, al contrario, è maggiore negli USA (v. tabella 1:la spesa privata si ricava per differenza fra spesa totale e pubblica. I dati OCSE sono aggiornati al 2001 perché il grafico è tratto da un mio vecchio lavoro, ma la situazione al 2007 non differisce in modo statisticamente significativo).

 Tab. 1: Spesa sanitaria pubblica e totale in USA e UK (dati OCSE)

 

Il divario nella spesa pubblica dei 2 Paesi è andato azzerandosi negli ultimi 50 anni (dal 1990 le 2 curve sono sostanzialmente sovrapponibili), mentre è cresciuta notevolmente la forbice nella spesa privata, che è responsabile pressoché integralmente dell’enorme differenza di spesa totale (nel 2001 pari negli USA al 12,9% e in UK al 6,8% del PIL; nel 2007 i valori sono saliti rispettivamente al 15,2% e all’8.1%).
Il punto critico del sistema sanitario USA non è dato solo dalla prevalenza del privato come erogatore delle prestazioni; anzi, l’elemento più dirompente è costituito dal sistema assicurativo privato. Negli USA, analogamente a quanto succede da noi nell’assicurazione RCA delle auto, è un’assicurazione privata che garantisce la copertura delle spese sanitarie (beninteso, per chi può pagare il premio relativo: per una famiglia di 4 persone che richieda una copertura media il costo 4 anni fa si aggirava sui 25.000 $ annui. Circa 50 milioni di americani sono totalmente privi di assicurazione sanitaria; la cifra arriva a circa 80 milioni se ci aggiungiamo le persone prive di assicurazione sanitaria per una parte dell’anno). Che sia il sistema assicurativo privato a far lievitare i costi è mostrato dal confronto di spesa sanitaria fra USA e Grecia. La Grecia è il Paese che ha la spesa sanitaria privata percentualmente più alta, anche più alta di quella statunitense. Però, mentre la spesa privata greca è pagata dal paziente di tasca propria, quella americana è sostenuta per 3/4 dalle assicurazioni. Ora, la spesa greca è più alta della media (10,1% del PIL contro una media OCSE del 9% netto), ma è comunque lontana dal 15,2% degli USA.

1 commento

  • 1 giancarlo
    2 Luglio 2008 - 12:20

    Bravo, pubblica altre utilissime analisi, magari anche un punto di vista della sanità Sarda. A si biri

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