Aldo LobinaAntonio Di Pietro ha paventato recentemente il pericolo che il mese di discussione per l’approvazione del patto di stabilità finanziaria sia troppo lungo per non indurre in tentazione qualche parlamentare e fargli cambiare idea circa la fiducia a Berlusconi, posticipata al voto sul Bilancio.
Certo sarebbe immorale e non lecito “tentare di costringere, convincere, magari pagando, senatori e deputati, a dare il voto ad un governo che non ha più la fiducia del parlamento, ma che tenta di comprarla come fosse una merce qualsiasi”.
Di Pietro parla di mercato delle vacche, io parlerei, metafora per metafora, soprattutto in tempi di vacche magre, piuttosto di mercato di porcelli, per maggiore attinenza con la legge elettorale in vigore.
Non che non si possa cambiare idea. Tra l’altro è un segno di intelligenza. A tutti, anche e soprattutto ai parlamentari, è concesso il diritto di scegliere con libertà; la disonestà, il mero tornaconto personale, che inducesse a comportamenti spudorati, altrimenti, farebbe torto al paragone bestiario, facendolo diventare offensivo per gli stessi animali, vacche o maiali che siano. Cosa che potrebbe accadere anche con altri sistemi elettorali diversi dal porcellum, confortati da migliori leggi di selezione della classe politica. Ma sicuramente con incidenza statistica inferiore.
Ci piacerebbe che i nostri parlamentari rispondessero dei loro atti agli elettori del collegio elettorale che rappresentano. Così non è. Purtroppo questo, col porcellum, non è possibile. Questo sistema ha slegato infatti i rappresentanti dai rappresentati, ha trasformato i primi in delegati dei partiti e i secondi in notai di quello che le organizzazioni partitiche hanno ordito. Quando non si hanno obblighi con gli elettori, risulta più facile slegarsi da una parte per afferire ad un’altra. La paura di Di Pietro non è solo sua. Essa trova motivo nella struttura del nostro ordinamento elettorale, che si fa bene a voler cambiare, perché viziato alla radice.
Cambiare è necessario per restituire al parlamento una dignità più grande, legislativa, ridotta molto spesso, in questi tempi bui, ad aderire alle necessità contingenti di natura personale di membri dell’esecutivo, spacciandole per garanzie di governabilità in ossequio al mandato popolare. Il quale, esso stesso, obbedisce alla Legge, che ne stabilisce i confini.
A proposito di governabilità: se si adottasse anche in Italia l’istituto della “sfiducia costruttiva” finiremmo una volta per tutte di sentire demonizzare il “ribaltone”, visto col fumo negli occhi da chi non si rassegna ai moti della volontà popolare, espressa attraverso rappresentanze elettive. Comunque, anche senza sfiducia costruttiva, un parlamento nel quale le forze in campo dovessero accordarsi, sostenute da un numero di voti sufficiente a supportare un governo nuovo, avrebbe piena dignità democratica. Altra cosa sarebbe il giudizio politico, che però bisognerebbe legare ai propositi e ai risultati.
Mi chiedo: c’è in Italia una maggioranza alternativa? Lascio a chi legge la risposta o il dubbio.
E’ riduttivo essere antiberlusconiani oggi, al tramonto della seconda repubblica, che ha visto Silvio Berlusconi protagonista contrastato, ma protagonista. Non è servito essere antiberlusconiani neanche quando il berlusconismo era imperante.
Sarebbe occorso contrapporgli modelli alternativi, senza indulgere a comportamenti, pratiche e consuetudini e addirittura leggi - promulgate e non – in sintonia con la temperie “culturale” vacua e virtuale, senza virtù, imposta con la sua invadenza mediatica.
B non sarebbe durato così a lungo se avessimo vigilato e difeso con tutte le nostre forze quanto di buono era stato costruito con fatica, lacrime e sangue, negli anni della prima repubblica in ordine per esempio allo stato sociale, ai diritti di cittadinanza, a quelli delle donne, a quelli dei lavoratori.
Il fenomeno si è sviluppato perché abbiamo abbassato la guardia.
Per andare avanti ci tocca recuperare; tornare a riflettere insieme come ricostruire i beni che abbiamo in parte dilapidato.
Occorrerà ancora una volta lavorare per impedire avventure maggioritarie votate al populismo; richiamare davvero a norma-lità, nel senso di legalità, un paese in cui molti cittadini sono sotto l’effetto euforizzante del culto del capo, affinché la serietà dell’impegno di ciascuno diventi un valore riconosciuto e apprezzato.
Occorrerà declinare un sentimento di partecipazione che non affidi l’essenza, nel senso dell’esistenza, al demiurgo di turno ( al “meno male che Silvio c’è”), ma a semplici artigiani della democrazia, quali noi siamo chiamati a diventare. Non solo sentinelle, perché queste qualche volta dormono.
Solo allora davvero potremo essere fieri di scrivere fuori dalla nostra officina democratica ”meno male che ci sono anch’io”! Con buona pace dei fanatici osannanti e dei loro sacerdoti, compresi quelli di rito ambrosiano.
Meno male che ci sono anch’io
22 Novembre 2010
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