Cristian Richesu
A scuola oggi la tematica dell’acqua è sempre più presente: compare in letteratura, nei testi di Geografia, di Storia, di Costituzione e cittadinanza, in Scienze, in Scienze dell’educazione motoria e in tecnologia. Ma perché si affronta la conoscenza di un bene essenziale come l’acqua in misura maggiore di altri beni, come ad esempio l’aria? Esiste un rischio per la conservazione e l’uso dell’acqua o, come sostengono i critici nei confronti degli ambientalisti, ad esempio Riccardo Cascioli e Antonio Gasparri, autori del libro “I padroni del pianeta”, si sta esasperando un problema che non esiste, dato che il ciclo dell’acqua si rigenera da solo, dato che l’acqua è una fonte rinnovabile e dato che l’acqua dolce compresa nelle calotte polari e nei ghiacciai ci consentirebbe di usufruire di enormi riserve negli anni?
A ben vedere il rischio esiste, ed è dato dal fatto che l’acqua che serve per gli usi umani è quella dolce, non quella salata, e l’acqua dolce è presente nel mondo nel 3% di quella totale, ma addirittura di questo 3%, compreso quasi interamente nelle calotte polari e nei ghiacciai, quello immediatamente disponibile per gli usi umani è solo l’1%, cioè l’1% del 3% di quella totale.
Ma in Italia molti cittadini pensano che questi problemi non li riguardino, la nostra penisola, aggiungono, è ricca di fonti e, come dice il proverbio, occhio non vede e cuore non duole. Però non è proprio così, e se non si vuole prestare attenzione ai problemi riguardanti la fruizione di un bene dell’umanità, almeno bisognerebbe osservare che le fonti d’acqua in Italia non sono distribuite in modo omogeneo sul territorio; che nel nostro Paese c’è una dispersione, per buche nelle condotte, che arriva a medie del 50% nel Meridione, con casi limite del 70%; che, anziché bere l’acqua potabile pubblica, preferiamo essere il primo Paese al mondo per spesa in acqua minerale in bottiglia; e che, per gli studi sull’impronta idrica, noi abbiamo esternalizzato la dispersione d’acqua per la produzione di beni di consumo, ma legandoci al commercio con altri stati, in modo dipendente proprio a quei Paesi che stanno andando incontro a crisi idriche.
Dal 1994, poi, con la legge Galli per la gestione dell’acqua, in Italia si sono creati gli ATO, ambiti territoriali ottimali, che avrebbero dovuto ricoprire delle aree di competenza per bacini idrografici, affidando la gestione delle acque, in modo integrato, ad enti appositi. Ma alla fine questi ATO sono nati senza il rispetto del limite dato dall’estensione dei bacini idrografici, spesso hanno dato la gestione delle acque per affidamento diretto, e in molti casi gli enti gestori sono diventati aggregatori di servizi tesi alla mentalità imprenditoriale del profitto, coinvolgendo anche i comuni, azionisti di queste SPA, nella divisione di utili che, paradossalmente, non provengono dalla gestione dell’acqua di uno stesso bacino idrografico. Per fare un esempio, può, ed è capitato, che un comune del nord Italia sia diventato azionista dell’ente gestore dell’acqua di un comune del sud, perdendo, inevitabilmente, il punto di vista dell’erogazione del servizio come diritto al bene pubblico, se non anche perché non si tratta dei propri cittadini, quelli che eleggono le amministrazioni comunali.
In Sardegna esiste un ATO unico, che racchiude 377 comuni, con un ente gestore, Abbanoa. La Sardegna ha un’idrografia particolare, esiste un solo lago naturale, Baratz, non ci sono montagne dalle altezze elevate e sono poche le fonti che discendono da queste. Il clima della Sardegna è caratterizzato da poche precipitazioni e lunghi periodi di siccità, che interessano aree diverse e periodi differenti dell’anno. Le stagioni piovose e quelle secche sono divisibili in due periodi, di 7 mesi, da ottobre ad aprile, le prime, e di 5 mesi, da maggio a settembre, le seconde; le zone piovose sono quattro, Gennargentu, Gallura centrale, altopiano di Campeda, Iglesiente, e quelle aride tre, Nurra, Campidano e una zona attorno al Coghinas. Nei secoli la nostra isola ha conosciuto periodi di siccità, e il decennio fino al 2008 è stato caratterizzato da una forte aridità. Infatti, a parte questi ultimi due anni, nel periodo precedente in Sardegna si sono registrati allarmi per la siccità, non si è arrestato il processo di desertificazione, si sono verificati cambiamenti climatici che hanno creato sfasamenti delle precipitazioni lungo il corso dell’anno solare e, anche se sono stati fatti lavori per la sistemazione e modernizzazione delle reti di distribuzione dell’acqua a Cagliari ed Elmas, con la distribuzione in rete ripartita in distretti collegati con un centro di telecontrollo e con la conseguente ottimizzazione dell’acqua in queste zone, a Sassari e Nuoro per la stessa quantità d’acqua che scende dal rubinetto se ne perde altrettanta.
Come nel resto del mondo, poi, anche la Sardegna deve affrontare il fenomeno dell’inquinamento. Pertanto, in molti laghi sardi sono presenti processi di eutrofizzazione, aumenti di sostanze nutritive nell’acqua, a causa di rifiuti liquidi e/o solidi, con lo sviluppo sproporzionato della flora acquatica, che morendo e decomponendosi porta a una grave mancanza d’ossigeno. L’inquinamento delle acque determina anche l’avvelenamento della salute dell’uomo, con la trasmissione di sostanze inquinanti nella catena alimentare, e grossi danni alla pesca e al turismo.
Proprio per arginare i danni della siccità, negli anni sono stati realizzati numerosi bacini artificiali, prima fonte da cui è attinta l‟acqua per la Sardegna, sia per gli usi urbani che per quelli industriali e agricoli, questi circa il 68% del totale. Poi, anche in seguito all’inquinamento, per soddisfare le richieste di un crescente fabbisogno idrico, sono stati realizzati più pozzi, e sempre più profondi, e impianti di depurazione, che comunque non riescono a preservare le originarie caratteristiche dell’acqua, il tutto con dispendi economici, energetici e ambientali. In realtà i vari interventi nel ciclo integrato dell’acqua, captazione, adduzione e distribuzione, in Sardegna avrebbero maggiore efficacia se accompagnati da un recupero e una migliore manutenzione delle condotte idriche, che ora hanno numerose perdite, e da un’irrigazione più moderna e meno dispendiosa.
Insomma, i problemi che attanagliano la Sardegna in merito all’acqua sono tanti, diversi e si succedono nel tempo, e se consideriamo che parti dell’isola sono soggette al pericolo della desertificazione, e che anche da noi le condotte hanno numerose perdite, è doverosa una particolare attenzione per l’uso e la tutela dell’acqua, come per il processo di rinnovabilità, riflettendo in modo ponderato, e magari con un coinvolgimento popolare, sulla politica di gestione dell’acqua locale, ponendo come punto fondamentale non la logica del profitto, ma quella del servizio pubblico, “del bene comune a rilevanza non economica”, e l’uso delle tariffe per il mantenimento e la manutenzione del sistema di fruizione, che dev’essere ottimizzato in qualità, efficienza e risparmio.
E in merito alla gestione locale e nazionale, poi, bisogna aggiungere che con il decreto Ronchi, ultima disposizione legislativa in materia d’acqua, come scritto nel libro “Salvare l’acqua”, edito dalla Feltrinelli, “si spazzano via le ultime resistenze all’ingresso dei privati in tutte le SPA e nei pochi enti di gestione del servizio idrico rimasti, imponendo un 40% di capitali privati attraverso un bando (in teoria) e obbligando le aziende quotate in Borsa a ridurre al 30% la partecipazione pubblica dei comuni”. Ma quel che non si sa, da quanto riportato nel testo citato, è che se il decreto Ronchi pone la privatizzazione come obbligatoria dall’adempimento dei vincoli comunitari, in realtà l’Europa non obbliga nessuno stato comunitario a privatizzare l’acqua, e da ai comuni tre possibilità di scelta: “la messa a gara dell’intero pacchetto azionario, la messa a gara solo di una parte non inferiore al 40% o il mantenimento di una gestione in house, tutta pubblica.”
In proposito, a partire dalla scuola, occorre stimolare la formazione di un pensiero critico, di una cittadinanza più matura, sensibile e consapevole rispetto ad atteggiamenti e scelte da adottare sulla gestione dei servizi pubblici, avendo a cuore la sostenibilità e responsabilità della risorsa, che deve essere intesa come bene essenziale dell’umanità e bisogno fondamentale per la salute dell’uomo, fuori dal mercato.
Fin dalla scuola l’educazione sull’acqua
21 Novembre 2010
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