Andrea Pubusa
Ecco la risposta alla lettera di Marco Ligas.
Caro Marco,
La tua - come al solito - è una bella lettera. E’ scritta con pacatezza ed è franca, senza infingimenti e senza ipocrisie.
Ma ,proprio per questo, ti dico con altrettanta franchezza che non condivido la tua valutazione. Non credo di sbagliare quando dico che il giovane Pietro, l’altra sera, ha, drammatizzando, indicato qual’è la causa fondamentale che mette in pericolo la vita de Il Manifesto. E’ la sua incapacità di aprirsi al nuovo e ai giovani nella redazione e, quindi, nell’allargamento del novero dei lettori. Ha ragione il mio allievo Gavino Piredda, nei nostri anni verdi il quotidiano lo vedevi soltanto in mano a giovani. Era raro allora vedere un uomo attempato col Manifesto in tasca. Oggi lo si vede poco in giro e sempre in mano a persone a tutto andar bene vicine al pensionamento. Questa non è una questione generazionale, è un problema politico. Occorre trovare i rimedi per far sì che il quotidiano sia di nuovo il giornale di una intellettualità pensante di sinistra e raccolga anche la voglia di cambiamento dei giovani e ne interpreti i sogni e i bisogni.
Non ho mai creduto e tanto meno credo oggi che ci siano soggetti che possono risolvere i problemi degli altri. Le gravi questioni della società possono essere affrontate e risolte solo se i soggetti interessati si mettono in movimento. I problemi dei giovani - che sono poi i problemi della società - non possono essere risolti senza di loro. Queste cose le abbiamo imparate assieme, ed anzi tu, che sei un po’ più grande di me, da ragazzi, mi hai aiutato molto a capirlo. E’ in fondo questa l’essenza del vero comunismo o, se vuoi, semplicemente, della vera democrazia: e cioé che i protagonisti del cambiamento sono gli stessi soggetti interessati ad esso, quelli che ne traggono beneficio e dunque combattono per esso, si mettono in movimento si uniscono e si organizzano per cambiare la realtà. Ricordi il buon Marx cosa ci ha detto con Engels? Il comunismo è il movimento reale che cambia lo stato di cose presente.
A me è sembrato, l’altra sera, che Pietro volesse ricordarci questo e volesse lanciarci un forte richiamo. Le risposte mi pare non abbiano recepito questo “grido di dolore”, ma siano state un po’ infastidite e un po’ paternalistiche.
Caro Marco, lo so che è duro ammetterlo, ma - ha ragione Pietro - noi non possiamo fare più niente. O meglio non possiamo fare più niente senza che a tirare sia chi ha la vita davanti. Noi siamo la riserva democratica, preziosa, indispensabile, ma non possiamo essere più i protagonisti fondamentali del cambiamento. Anche perché siamo una parte garantita della società, che meritoriamente cerchiamo di capire e farci carico dei problemi di chi non lo è, sopratutto i giovani, ma non siamo loro. Ed allora? Nessuna accondiscendenza, certo, ma uno sforzo serio per passare il testimone. E non è un compito facile. Se ci pensi la sinistra è morta anche per questo, per la bramosia insistita di molti compagni di occupare posizioni, di non favorire il rinnovamento, di non lasciar strada agli altri, svolgendo un nuovo ruolo.
Questo è in fondo ciò che, forse scompostamente, ci ha voluto dire quel giovane. Come dargli torto? Che bello se di giovani come Pietro l’altra sera all’assemblea ne fossero venuti almeno cento e ci avessero chiesto con forza di metterci un po’ in disparte!
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