La destra disarciona il Cavaliere, ma attenzione ai colpi di coda

15 Novembre 2010
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Andrea Pubusa

Berlusconi si avvia a chiudere la sua parabola. Una vicenda che entrerà a far parte della storia del Paese, come l’età crispina o quella giolittiana. Quasi un ventennio che ha trasformato nel profondo l’Italia e gli italiani, mostrandone gli umori peggiori: la prevaricazione dei forti e dei furbi verso i deboli e gli onesti, l’incultura, il razzismo, il machismo da bordello. Il governo diventato ricettacolo di nani e ballerine al servizio del sultano. La spinta democratica degli enti locali, vero motore di sviluppo democratico nella storia del Paese, stretta fra la rozzezza dei sindaci leghisti e la subordinazione o il condizionamento delle mafie.
Berlusconi non finisce tuttavia per un sussulto dell’opposizione o per una reazione popolare. Non che questa manchi. Tante lotte, tante mobilitazioni, ma senza un partito di opposizione forte e radicato, ogni battaglia anche sacrosanta non si unisce alle altre e rimane un episodio slegato dagli altri. Non è un caso che gli operai abbiano cercato forme eclatanti di lotta per rendersi visibili: il carcere dell’Asinara, la sommità di una grù o di una stazione ferroviaria. Il referente divengono le telecamere, in mancanza di un’organizzazione in grado di unire e di dare valenza e sbocco politico a queste lotte. E non è neppure un caso che ormai l’opposizione più forte e incisiva venga dal mondo dello spettacolo: Santoro, Fazio, Benigni, Fò, Crozza, Luttazzi, Paolo Rossi e tanti altri comici e uomini di spettacolo benemeriti, diventati ormai i simboli dell’opposizione di sinistra a Berlusconi e al berlusconismo.
La crisi viene aperta dunque da destra ed è egemonizzata dalla destra. Da Confindustria anzitutto, che vede gli imprenditori pagare sulla propria pelle la mancanza di governo del Paese. Mercegaglia lo ha iniziato a dire da qualche mese con forza e non a caso “la macchina del fango”, guidata da Il Giornale, è subito partita contro di lei. Montezemolo e altri importanti imprenditori, scesi di persona in campo contro il Cavaliere. E poi, dopo l’ultimo bunga bunga, anche la Chiesa. Fini ha avuto il merito di farsi portavoce di questi umori profondi della destra italiana, subito assecondato da Casini, che lavorava a questo esito da molto tempo.
Questo è lo schieramento sociale e politico che guida e determina la caduta di Belusconi e che detterà anche l’agenda politica dei prossimi mesi e probabilmente dei prossimi anni. Con quale programma? Un ritorno alla normalità, ridando decoro alle istituzioni, rispetto alla magistratura, nuova linfa alle amministrazioni locali, liberate dalle stravaganti esternazioni razziste dei leghisti, emarginazione della Lega, rilancio dell’idea unitaria del Paese. In questo modo si cerca di dare un’immagine rispettabile dell’Italia anche all’estero, bene prezioso soprattutto per il mondo delle imprese.
E’ un fatto positivo? Sicuramente. In questo senso, al di là delle facili illusioni o delle interpretazioni superficiali, Fini fa il suo mestiere di uomo di destra, di una destra rispettabile, così come Casini fa l’uomo del centro moderato, legato al mondo cattolico tradizionale. Col supporto di Confindustria e della Chiesa tentano di aggregare intorno a loro le forze moderate per assicurare un governo del centrodestra che ormai Berlusconi aveva appaltato alla Lega e che andava sempre più sfuggendogli di mano.
In tutto questo per le forze di centrosinistra c’è poco spazio. Possono solo appoggiare Fini e Casini in questo passaggio delicato della nostra storia, ma senza alcuna pretesa o forza di condizionamento. Il PD e la sinistra pagano per la loro insipienza. Hanno perso la partita quando, con Prdoi al governo, non hanno colto l’occasione per coinvolgere Casini che si staccava da Berlusconi. Eppure c’era la necessità di allargare o meglio avere un maggioranza che specie al Senato non c’era. La sinistra per due volte, con Bertinotti testa d’ariete ma tanti altri dietro le quinte, ha teso una trappola a Prodi, mostrando di non essere affidabile e di non comprendere le esigenze profonde dei lavoratori, legate anzitutto alla difesa del quadro democratico e della Costituzione. La scomparsa della sinistra è nient’altro che la conseguenza della sua inutilità per le masse popolari e per il Paese. Come il PCI era cresciuto per aver avuto la capacità di concorrere ad abbattere il fascismo, fare la Costituzione e ad aprire una stagione straordinaria di sviluppo democratico e sociale, così la sinistra è morta quando non ha avuto più forza propulsiva.
Detto questo non possiamo che appoggiare il tentativo di Fini e Casini di disarcionare il Cavaliere, ancorandolo fortemente al rilancio della Costituzione e al ritorno, anche con la modifica della legge elettorale, ad una democrazia normale. Ci sarà poi tempo, se sapremo tessere, di individuare la via dell’alternativa. Ma per farlo, occorre cambiare radicalmente registro nel PD e in quella misera cosa che è la sua sinistra.
Ora stiamo attenti ai colpi di coda. La storia italiana è caratterizzata da tragici eventi in occasione di questi cambi di fase: dalla strage di Piazza Fontana all’uccisione di Moro. Anche Moretti ha ambientato la fine del Caimano in un clima tragico. Confindustia, Chiesa e moderati sono stanchi del Cavaliere e delle stravaganze di Bossi. Ma cosa faranno le forze oscure della reazione e i settori deviati dei servizi?

1 commento

  • 1 Riccardo Mureddu
    15 Novembre 2010 - 18:10

    Quando si arriva a gridare di fronte ad una telecamera il proprio malessere, si capisce quanto sia poco credibile il lavoro di “mediatore di bisogni” del politico di oggi. Personalmente non mi sento rappresentato da niente e nessuno, non mi riconosco in nessun pseudo rappresentante del popolo seduto a Roma. Attorno alla nube della destra mi sembra di scorgere un cielo poco stellato, privo di una stella cometa a farci da guida. Le parole del professore mi sembrano caute ma speranzose, confido nella sua lungimiranza, con tanti tanti dubbi, sul mio e nostro futuro.

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