Gianna Lai
Giornate di lotta contro i tagli del Governo Berlusconi anche nell’Università della Sardegna: sotto la scritta “Chi chiude una scuola apre una prigione”, studenti universitari e delle Superiori organizzano cortei e sit-in a Cagliari dall’8 al 12 Ottobre, e per tutto Novembre, in contemporanea con altre 90 città d’Italia. Ma tutto questo avviene tra la generale indifferenza di cittadini, forze politiche e persino degli stessi docenti che, ben più numerosi, ci si aspettava avrebbero partecipato alle manifestazioni e agli scioperi indetti dalla CGIl. Lo dice anche Tullio De Mauro, solo il 2% degli italiani si è accorto delle mobilitazioni della scuola e, certo, qui da noi è la protesta permanente di decine di migliaia di operai licenziati, allevatori e agricoltori indebitati, ad attirare l’interesse di tutti. Fatto sta che rabbia e rassegnazione sembrano oggi prevalere nella scuola sarda, in un quadro reso ancor più sconfortante dalla perdita di oltre mille posti di lavoro e dai massicci finanziamenti regionali destinati alle scuole private. Dove, in cambio di stipendi di fame, e senza alcuna tutela contrattuale, finiranno i precari licenziati dalla Gelmini. C’è da stupirsi se l’8^ Commissione Istruzione e Scuola, non si convoca da più di un anno? Di cosa dovrebbero parlare i Consiglieri regionali, del licenziamento di 1037 docenti e 670 collaboratori scolastici, del sovraffollamento delle aule, dell’aumento dei costi dei trasporti che aggrava fortemente il fenomeno della dispersione? Hanno ben altri problemi da affrontare, in Regione. E sembra che anche il Comune di Cagliari la pensi allo stesso modo.
E’ invece il Consiglio Provinciale di Cagliari a denunciare, nella recente Delibera del 2 agosto, la riduzione di organico in Sardegna del 5,18% per i docenti, dell’8% per i collaboratori scolastici che, a proposito di tagli, colloca l’Isola al secondo posto fra le regioni italiane. Tagli stabiliti dall’Ufficio Scolastico regionale, e del tutto ingiustificati di fronte alla riduzione di appena il 2,26% degli studenti iscritti, che il Consiglio provinciale chiede vengano revocati. E chiede nuove immissioni in ruolo, i 25 alunni per classe nel rispetto della legge sulla sicurezza, e una lotta alla dispersione che non può essere affrontata con la politica dei progetti regionali. Chiede infine la revisione della Delibera 41, perchè i Contratti a progetto dei precari, inseriti nella 3^ graduatoria regionale, vengano sostituiti da nomine simili a quelle destinate ai supplenti.
Ma sono i tagli ai collaboratori scolastici la testa d’ariete usata dal governo per mettere in ginocchio l’istruzione in Sardegna. Esplode la questione dei collaboratorori e si moltiplicano gli interventi dei Comuni in “difesa scuola pubblica”, come a Quartu, a seguito di una mozione presentata dal Pd. Nei piccoli Comuni, dove i collaboratori sono stati falcidiati, sono le amministrazioni stesse ad assumerli con Contratti a Progetto, sancendo praticamente la fine del servizio scolastico nel Sistema nazionale di istruzione, come è successo a Villasimius per la scuola di Castiadas. E mentre nella scuola elementare di S. Sperate all’ unico collaboratore viene imposto lo straordinario, nei plessi degli Istituti comprensivi, che comprendono 3 o 4 Comuni, può verificarsi quello che è successo a Esterzili, un unico collaboratore per 3 piani. E i genitori non mandano a scuola i bambini.
Non vanno meglio le cose nelle scuole più grandi, come il Marconi di Cagliari, il cui numero ridotto di collaboratori impone le ore di 50 e 55 minuti per consentire la pulizia dei locali, prepararandosi alla esternalizzazione dell’intero servizio, come già avviene in alcune scuole della città, ad esempio il Michelangelo. Ma si esternalizza anche al Professionale di Stato di Maracalagonis dove manca, per la formazione della classe Quarta, il numero minimo di 20 alunni, quello che impone l’ accorpamento fino a 30 ragazzi (ed oltre) in una stessa aula: la classe Quarta viene soppressa e il Comune fa Contratti a Progetto a quei docenti che, espulsi dalla scuola, preparano i ragazzi all’ammissione alla Quarta dell’Istituto Tecnico cittadino. Meno male che ad Isili, dove si è tentata la stessa cosa nei confronti di un liceo, le proteste di studenti e famiglie hanno invece imposto il ripristino della classe Quarta. E meno male che i Sindaci del Medio Campidano non stanno a guardare, e promuovono incontri con i dirigenti scolastici, le parti sociali e con la Cgil, partecipando direttamente alle manifestazioni della scuola per protestare contro il licenziamento dei collaboratori, che mette seriamente a repentaglio la sopravvivenza di interi plessi scolastici: cosa accadrà l’anno venturo con gli ultimi devastanti tagli?
Lo Stato dismette, la Regione privatizza, il Comune si sostituisce e esternalizza finchè ha risorse, finchè ha coscienza dell’importanza di una scuola aperta e funzionante. Si applicano cioè le regole del federalismo imposto dalla Lega, dare a ciascuno secondo le proprie ricchezze, in un quadro di devolution che penalizza fortemente le regioni più povere del Sud d’Italia. Pensiamo ai Contratti di disponibilità della Delibera regionale n. 41 che, in base ad accordi Stato Regione, istituiscono una 3^ graduatoria prioritaria per supplenze brevi, prioritaria rispetto a quelle provinciali e di Istituto fondate sul punteggio e sui diritti acquisiti. E’ una forma grave di esternalizzazione della docenza fuori dal Contratto collettivo nazionale, perchè è la Regione a pagare i supplenti inseriti in questa graduatoria, facendosi carico anche dell’onere INPS, cioè della disoccupazione alla scadenza del rapporto di lavoro. E siccome la Regione paga solo l’attività dei docenti inseriti in questa graduatoria, e non i diritti contrattuali, i Presidi stipulano con i supplenti solo Contratti a progetto, introducendo a loro volta nella scuola nuove forme di lavoro precario, fuori dalla Contrattazione collettiva nazionale. Soldi pubblici sottratti alla qualità della scuola per tutti, naturalmente secondo le risorse disponibili al momento, e si capisce allora come il problema dei posti di lavoro sia oggi vero problema di democrazia. In seguito alla riduzione degli organici, lo smantellamento della scuola pubblica passa infatti prevalentemente attraverso l’aumento del numero degli alunni per classe, ed anche in Provincia di Cagliari, dove si prevedono organici solo per 27 ore, sono le Prime e le Seconde le classi, in particolare nella media Superiore, ad essere più numerose, e a segnare molto presto il destino dei più deboli. Perchè è impossibile, dice Angela Testone Preside del Tecnico Martini, seguire tanti ragazzi nel passaggio assai delicato dalla scuola media al Biennio delle Superiori, dove c’è da assolvere anche l’Obbligo scolastico, e portare a compimento il dettato della scuola della Repubblica che rimuove gli ostacoli e si prende cura di chi ha più difficoltà.
Ma passa lo smantellamento della scuola pubblica anche attravero la svalutazione del ruolo degli insegnanti, in particolare se pensiamo alla frantumazione delle discipline finalizzata al completamento delle cattedre a 18 ore. Si torna pendolari anche con 20-25 anni di anzianità in una guerra tra poveri, tra docenti di ruolo perdenti posto, costretti spesso a optare per insegnamenti non ricompresi nella propria classe di Concorso, pur di non allontanarsi troppo dal luogo di residenza: è quello che succede, qui da noi, in particolare ai docenti di Lingue, ora che in Provincia è venuto del tutto meno l’insegnamento del Francese. 500 i sopranumerari lo scorso anno e 250 le cattedre oltre le 18 ore in Provincia di Cagliari. Perciò spariscono anche i docenti a disposizione per le supplenze, in un quadro destinato ad aggravarsi a causa del blocco totale del turnover e della riduzione degli stipendi (-11%, secondo Tutto Scuola), che induce gli insegnanti a lavorare oltre le 18 ore di lezione. Eppure ci sono 20 mila cattedre libere sul territorio nazionale, dice Maristella Curreli del Comitato precari e da 19 anni in attesa di cattedra, che non si capisce come non vengano assegnate agli oltre 230 mila docenti precari: si vuol forse mantenere nell’istruzione questo 15% della forza lavoro in condizioni di precariato permanente? Nella scuola si andrà in pensione da precari?
Intanto il Sindacato Cgil denuncia come, a fronte di un lavoro che diviene sempre più impegnativo, vengano meno le tutele dentro la scuola, come insieme ai Contratti collettivi siano prese di mira e messe in discussione anche le RSU, in nome di una legge Brunetta che libererebbe i dirigenti da ogni forma di contrattazione di Istituto: c’è un attacco fortissimo al Sindacato in questa pretesa di operare secondo le “direttive dirigenziali”, come le chiamano i presidi quando prendono provvedimenti fuori dalle norme contrattuali, ad Elmas e Sestu, per esempio, la divisa per i docenti. E gli atteggiamenti autoritari dei presidi si trasformano spesso in episodi di vero e proprio mobbing nei confronti di docenti e collaboratori, costretti per questo a chiedere trasferimento, essendo venuto meno il senso etico della scuola come comunità garantita dalla continuità del lavoro di tutti.
Non servono tanti insegnanti se si cancella la qualità di questi anni fatta di tempo pieno, moduli e programmazione. E di sperimentazioni, quelle ministeriali in particolare, che hanno cercato di cambiare il volto della Scuola media superiore, così fortemente connotato dalla gerarchia tra Licei, Tecnici e Professionali . Pretendendo di cancellare l’insegnamento fondato sul curricolo, si pongono al centro i progetti, e la Governance, che non si sa bene cosa sia, ma suona bene e può fare effetto. Si inventano nuovi materie di studio, come Cittadinanza e Costituzione, al curricolo si contrappongono le discipline in termini puramente trasmissivi, non più strumento di conoscenza e crescita della consapevolezza di ciascuno. E si consente di assolvere all’Obbligo scolastico anche nell’apprendistato, per negare ai giovani più deboli istruzione e cultura. E si costringe le famiglie dei diversamente abili a ricorrere al Giudice per vedere riconosciuti i loro diritti. Nel mentre crescono le diseguaglianze e vengono meno i valori, la povertà dell’istruzione fa da specchio alla povertà dell’intero paese, e in certi territori sono già adesso facilmente visibili quei processi che rischiano di estendersi nei prossimi anni a tutto il Meridione: nella provincia di Cagliari un giovane su tre è senza lavoro, in Sardegna la disoccupazione giovanile tocca il 44% dei ragazzi, quasi il doppio rispetto al dato nazionale, unico sbocco professionale per diplomati e laureati i Call Center o la grande distribuzione
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