La governo del bunga bunga: in mutande anche i lavoratori

29 Ottobre 2010
3 Commenti


Andrea Pubusa

Sarà la stagione che induce alla malinconia, sarà l’incedere degli anni, che favorisce il pessimismo, ma ovunque mi giri non vedo alcunché di buono. Passo nella via Roma e vedo sempre gruppi di disperati, operai o pastori, che con presidi e cartelli segnalano il loro malessere. Più avanti, alla stazione, ad essere occupato è il tetto. I luoghi pubblici teatro di un disagio diffuso e quasi senza speranze. Forme di lotta eclatanti, per attrarre i media e coprire la mancanza di un’organizzazione sociale, partiti sopratutto, incapaci di canalizzare nelle istituzioni e di dare risposte. L’università che si disgrega sotto i colpi convergenti di un governo nemico e dei corpi docenti che hanno utilizzato l’autonomia per arraffare cattedre, corsi e creare nuove sedi inutili, insomma per distruggere l’idea stessa di universittà come comunità di studio, di ricerca e di formazione. Facoltà e dipartimenti diventati uno specchio, nella prassi e nei rapporti interpersonali, della mala politica. La scuola sotto attacco al pari dei servizi sociali in ossequio ad una linea selvaggia di riduzione della sfera pubblica, che stà conducendo il Paese allo sfascio e i ceti deboli alla perdita di diritti fondamentali, il lavoro, la sanità, l’istruzione.
Della giustizia è meglio non parlare. Dobbiamo difendere l’ordine giudiziario, la sua funzione e la sua indipendenza. Ma non possiamo difendere i giudici. Come nell’Università sono in larga misura gli artefici di uno sfascio che nel governo ha solo l’ispiratore principale. Ma se il Cavaliere può dire ciò che dice e fare ciò che fa sulla magistratura, questo dipende dal fatto che chi ha a che fare con la giustizia molto spesso è indotto a dargli ragione.
Lo specchio di tutto questo sono i giornali radio e la TV, dove sono assorbenti le vicende truculente di cronaca nera, nella quale si sollecita la curiosità morbosa sulle tragedie altrui per dimenticare le proprie o si nascondono i gravi problemi del paese con programmi dove tutti vincono e sono felici e contenti. Dei problemi del Paese non si discute, si tende a nascobderli anzichè metterli in luce per risolverli. D’altronde il Parlamento e le forze politiche sono continuamente impegnate dalla ossessione del Cavaliere di risolvere per via legislativa o addirittura costituzionale i suoi guai giudiziari. Ed anche qui ormai il problema non è quello di avere governanti onesti, ma di fare leggi che consentano di coprire le loro responsabilità penali.
Insomma, la repubblica del bunga bunga, con un premier che mette nude ragazzine e ministre e mette in mutande i lavoratori. Ma nonostante tutto lo spettacolo continua. Non c’è un moto di ribellione, un sussulto di indignazione. Amen.

3 commenti

  • 1 Andrea Murru
    29 Ottobre 2010 - 16:22

    Ho apprezzato il suo articolo e nel leggerlo non ho potuto che condividere punto per punto le sue varie riflessioni. La tragicità degli accadimenti che stanno oramai avviluppando le sorti della nostra cara Repubblica non riescono a far indignare sufficientemente un popolo smarrito come il nostro. Questo è ciò che solitamente penso in questi ultimi tempi e che però và via via in me ridimensionandosi. Ricordo ancora quando, non più di un anno fa, uscendo la mattina presto di casa per acquistare un quotidiano, vedevo sovente una signora, dall’aria smarrita ma fiera, rovistare dentro un cassonetto alla ricerca di ciò che l’opulenza non aveva facocitato. Bastò quell’immagine a farmi capire la situazione in cui si trovava il mio Paese. Ed allora perchè non vi è quel moto di indignazione, anche violento, ove occorresse, capace di risollevarci dal torpore nel quale ci troviamo? Sono uno studente universitario che fa il pendolo tra una realtà vasta come quella di Cagliari ed un piccolo borgo incastonato tra le montagne in Ogliastra; questo mi ha consentito di mitigare la durezza che spesso ci accompagna con l’apertura mentale che ti offre una città. Ed allora perchè non ci si indigna, non si insorge contro il reggente di turno? Perchè nessuno ha contestato il sindaco di Cagliri quando ha inaugurato il servizio delle bici pubbliche in città? Perchè non gli è stato domandato quale percorso preferenziale avrebbero dovuto percorrere tali mezzi, visto che non ci sono piste ciclabili? Questo mi sono domandato ed allora mi son reso conto che il bunga bunga è diffuso nel paese, lo attraversa, lo pervade! Nel mio piccolo cerco quotidianamente di risvegliare le coscienze dei miei interlocutori ma mi accorgo sempre più spesso che le stesse non sono sopite, quanto invece ben lucide ed hanno scelto una strada ben precisa, la rassegnazione. E come posso dar loro torto, quando l’obiezione che mi sento fare maggiormente è “ma io devo vivere, ho bisogno di lavorare, sono un precario”; ed ecco, a mio avviso, il punto di svolta, la precarietà! Come ci si può indignare, battere i pugni sul tavolo delle trattative, quando dall’altra parte ha chi può decidere del tuo futuro e magari rovinartelo? Che armi si ritova in mano il lavoratore quando, dopo aver superato il periodo di prova, si trova a dover accettare di sottoscrivere una clausola vincolante in favore di un futuro arbitrato, o all’alternativa di dover rinunciare al collocamento? Che armi si trova in mano lo studente universitario quando dall’altra parte della scivania si ritrova un docente che ti rimanda a casa solo perchè non ha ricordato il nome dell’autore di una fra le mille tesi dottrinali che hai studiato? Che armi ha, lo stesso studente, magari f.c. qualora non venisse annullato il regolamento dell’Ateneo il prossimo 9 Dicembre dal Tar Sardegna? Che armi ha il giornalista, anch’egli precario, se nel c.d.a. del suo giornale vi sono membri prossimi al capo dell’attuale governo? Ebbene, la risposta è sempre la stessa, nessuna arma! Parrebbe una contraddizione, ma occorre avere le spalle coperte, il posto fisso, l’esame dato per poter protestare ed indignarsi.

  • 2 disoccuppato
    30 Ottobre 2010 - 19:53

    “corpi docenti che hanno utilizzato l’autonomia per arraffare cattedre, corsi e creare nuove sedi inutili, insomma per distruggere l’idea stessa di universittà come comunità di studio, di ricerca e di formazione” + “Che armi ha, lo stesso studente, magari f.c. qualora non venisse annullato il regolamento dell’Ateneo il prossimo 9 Dicembre dal Tar Sardegna?” …proprio per questo vi dico che l’università va prima affamata e poi dopo aver allontanato i vari baroni …solo allora va arricchita.

  • 3 Niguz
    2 Novembre 2010 - 01:07

    Le difficoltà nel generare una protesta, un moto di ribellione che possa consentire alla società civile di far valere i propri diritti sta in due problemi sostanziali: da una parte il regime mediatico che opprime il volgo e, accomodandolo in poltrona, gli presenta davanti agli occhi una realtà terribilmente diversa da quella che si vive e si respita quotidianamente. Dall’altra vi è la teoria del ricatto, che proibisce ormai a chiunque di poter alzare la testa. La missione del berlusconismo è stata impoverire il popolo economicamente e culturalmente, per renderlo sempre più ricattabile, dal punto di vista morale e da quello materiale. Studiamo la costituzione, i suoi principi, le leggi penali, amministrative, civili. Le norme sul lavoro, quelle comunitarie. In fin dei conti però, se mettiamo il naso fuori dal libro, fuori di casa, ritroviamo una realtà che fa sembrare carta straccia ciò che fino a pochi secondi prima stavamo assorbendo come la verità suprema. Com’è possibile sollevare un moto di protesta al fianco dei ricercatori se basta un piccolo contentino del governo per sfasciare il fronte e ritornare a lavorare come se niente fosse successo? Come si fa a scendere in piazza al fianco dei pastori quando, al primo tozzo di pane ottenuto, la maggioranza è pronta ad abbandonare l’Aventino? A cosa servono le norme sui contratti a progetto, sulla non reiterabilità del contratto di lavoro determinato, se poi il lavoratore, magari con moglie e figlio a carico, non può che accontentarsi di essere assunto e licenziato ogni sei mesi pur di portare a casa quei pochi euro che servono per mandare avanti la baracca, senza la reale possibilità di far valere i suoi diritti? Viviamo in un mondo profondamente ingiusto. Forse quando l’opulenza diventerà per davvero miseria, quando le persone in fila alla caritas non troveranno più di che sfamarsi, allora potrà esserci un moto che con forza provi a ribaltare le sorti di questo paese.

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