Andrea Raggio
Nella seconda metà del secolo scorso uno degli argomenti del dibattito nella sinistra era “le contraddizioni in seno al popolo” (Mao Tse-Tung aveva trattato il problema in un ampio discorso negli anni cinquanta). Se ne discuteva non solo per registrarle ma nell’intento di risolverle, o almeno attenuarle, con metodo democratico. Nel primo decennio di questo secolo la questione si ripropone anche come “contraddizioni in seno ai diritti”. Il fenomeno è in espansione perché i diritti sono cresciuti col crescere dei bisogni, le contraddizioni sono accentuate dalla crisi e dalla globalizzazione e sono alimentate ad arte per colpire i lavoratori. Quando ci sono poco sviluppo e poca occupazione, col diritto al lavoro traballano anche gli altri diritti. La delocalizzazione è spesso utilizzata per ricattare i lavoratori e i loro sindacati. E’ il caso di Pomigliano, modello che va estendendosi ad altre realtà. In Campania il diritto dei cittadini napoletani a un ambiente salubre confligge in maniera acuta, perché inasprita, col medesimo diritto dei cittadini di Terzigno.
In Sardegna il fenomeno “diritti contro diritti” sta assumendo dimensioni preoccupanti –da vera e propria nuova diseconomia- perché la crisi è particolarmente grave e contribuisce a indebolire le tradizionali forme di lotta sindacale. L’utilizzazione dei media è oggi la forma più diffusa di lotta sociale. Lavoratori e sindacati sono costretti a manifestazioni sempre più clamorose per conquistare uno spazio nei giornali e nelle televisioni. Così come diffuso è il ricorso a manifestazioni che ledono diritti di altri lavoratori e cittadini per ottenerne solidarietà coatta: il blocco della circolazione cittadina, delle strade extraurbane, degli aeroporti, dei porti, delle stazioni ferroviarie.
Ora siamo passati all’occupazione del Consiglio regionale. I capigruppo e la presidente Lombardo hanno ritenuto che non vi fossero le condizioni per lo svolgimento dei lavori dell’Assemblea in piena autonomia. Non posso dar loro torto. Non deve essere taciuto che impedire il libero e autonomo funzionamento del Consiglio regionale, tenerlo sotto ricatto, è un atto molto grave, ferisce la democrazia, è contro gli interessi degli stessi pastori e copre le responsabilità di chi governa a Cagliari e a Roma. Il rispetto della legge e la vitalità delle istituzioni, non dimentichiamolo, sono strumenti posti principalmente a difesa dei deboli e degli offesi.
Nel passato le forze politiche e le istituzioni nazionali e regionali hanno sempre dedicato attenzione alla questione della pastorizia come uno dei temi centrali dello sviluppo economico e sociale. Da diversi anni l’attenzione è venuta meno e la crisi del settore ha assunto proporzioni gravissime. I pastori sono esasperati, dobbiamo comprendere le loro ragioni. Ma abbiamo anche il dovere di aiutarli a evitare gesti autolesionistici. A cominciare da chi si è assunta la pesante responsabilità di guidare il movimento.
Inasprire le contraddizioni tra diritti – in questo caso tra quelli dei pastori e quelli degli altri lavoratori e tra questi e il diritto-dovere dei consiglieri regionali a svolgere in piena autonomia la loro funzione – non aiuta una positiva soluzione delle vertenze. Il problema vero, invece, è quello di risolvere le contraddizioni, almeno attenuarle, ricorrendo a metodi e procedure democratiche. Questa è la preziosa indicazione venuta dagli operai di Pomigliano i quali, posti brutalmente a scegliere tra lavoro e diritti, hanno responsabilmente proposto un’altra soluzione, quella della trattativa per conciliare, nella misura del possibile, lavoro e diritti. Trattare nell’interesse dei lavoratori ma anche della Fiat, trattare perché non è vero che colpendo i diritti si esce prima e meglio dalla crisi, che con meno diritti si ha più lavoro. La Fiat ha risposto col diktat, prendere o lasciare. Gli operai di quella fabbrica – il 40% ha respinto, nonostante le difficili condizioni, il ricatto – hanno risposto con dignità indicando, nella contrattazione, il metodo per risolvere i conflitti sociali nella democrazia, nell’interesse dei lavoratori e del Paese.
Raffaele Bonanni, indispettito, ha inneggiato a dieci, cento, mille Pomigliano, intendendo la Pomigliano della Fiat. Una battuta che il dirigente di un’importante organizzazione sindacale come la CISL doveva risparmiarsi e che, spero, non abbia seguito.
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