Antonello Murgia
L’assistenza sanitaria ai detenuti in Sardegna è in fase critica perché il trasferimento delle competenze dal DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) al SSN (Servizio Sanitario Nazionale) non è ancora avvenuto e si è potuto accedere solo in parte alla quota relativa di finanziamento. La nostra Regione mi risulta essere, insieme alla Sicilia, l’unica a non aver ancora ottemperato al D.Lgs. 230/1999 e al DPCM 01.04.2008 che ne regolamentava l’attuazione.
Questo ritardo si aggiunge ad una situazione che già era allarmante: solo il 20% dei detenuti risulta in buona salute (contro il 61% dei cittadini liberi: v. dati ISTAT), mentre il 75% versa in condizioni mediocri o scadenti ed il 4-5% in condizioni gravi.
Il cambio di Governo nazionale e di amministrazione regionale non ha favorito la celerità del trasferimento, anche perché la Giunta sarda attuale ha voluto cambiare i componenti della commissione paritetica Stato/Regione di nomina propria. Decisione, questa, discutibile visto che la commissione non incideva sulle legittime scelte politiche, ma doveva semplicemente produrre la norma di recepimento prevista dallo status di Regione a statuto speciale. A questo ritardo si è aggiunta la lentezza dei lavori della nuova commissione e, infine, il rilievo mosso dalla Prima Commissione del Consiglio Regionale che ha chiesto chiarimenti sul finanziamento del Servizio, (cui la Commissione paritetica dovrebbe dare risposta nella seduta che sembra prevista per mercoledì 13 ottobre). Così, il termine ultimo per il trasferimento è scivolato in avanti: dal 30 settembre 2008 (previsto dal DPCM) sono passati 2 anni senza risultati concreti. Ed il direttore del carcere di Buoncammino ha annunciato la chiusura per mancanza di fondi del Centro clinico annesso al carcere.
Operatori del settore (magistrati, sanitari, associazioni di difesa dei diritti dei malati e dei detenuti, etc.) hanno perciò lanciato un grido d’allarme, anche perché fra i provvedimenti tampone previsti c’è quello del trasferimento presso strutture della penisola dei malati più bisognosi, con disagi per detenuti e personale e aggravio di spese. L’assessore alla sanità ha comunicato lo stanziamento di 500 mila euro per far fronte all’emergenza fino a fine anno, ma ha negato obblighi nella vicenda se non quello morale. Posizione difficilmente condivisibile: a chi se non a lui, massimo esponente istituzionale regionale in ambito sanitario, compete la rimozione degli ostacoli all’applicazione di una legge dello Stato e relativo DPCM in tema di tutela della salute nella Regione? Il ritardo accumulato ha anche conseguenze economiche perché, mentre sembra che pur con notevole ritardo la quota storica del finanziamento del servizio abbia continuato ad essere erogata, la quota aggiuntiva messa a disposizione dal Ministero della salute viene negata a chi ancora non ha ottemperato agli adempimenti di legge.
Il problema deve essere affrontato con sollecitudine molto maggiore di quanto non sia avvenuto finora, non solo perché il carcere non può vivere una sorta di extraterritorialità rispetto al diritto costituzionale alla tutela della salute, ma anche perché il rispetto dei diritti e della dignità del cittadino recluso è interesse della comunità civile, perché favorisce il reinserimento a fine pena e offre una risposta non aleatoria ai bisogni di sicurezza sociale.
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