Jacques Rancière
PUBBLICHIAMO AMPI STRALCI DI UN ARTICOLO APPARSO SU IL MANIFESTO DEL 23 SETTEMBRE, CHE AIUTA A VEDERE E A CAPIRE IL MODERNO RAZZISMO.
“Vorrei proporre alcune riflessioni attorno alla nozione di “razzismo di Stato”. Queste riflessioni si oppongono a un’interpretazione molto diffusa delle misure prese di recente dal governo francese, dalla legge sul velo fino all’espulsione dei rom. Questa interpretazione vi vede un’attitudine opportunista che mira a sfruttare i temi razzisti e xenofobi a fini elettorali. Questa supposta critica riprende il presupposto che fa del razzismo una passione popolare, che lo considera la reazione impaurita e irrazionale degli strati retrogradi della popolazione, incapaci di adattarsi al nuovo mondo, mobile e cosmopolita. Lo Stato è accusato di venir meno ai propri principi mostrandosi compiacente nei confronti di queste popolazioni. Ma al tempo stesso questa critica rafforza la posizione dello Stato in quanto rappresentante della razionalità di fronte all’irrazionalità popolare.
Questa posizione, adottata dalla critica “di sinistra”, è esattamente la stessa in nome della quale la destra da una ventina d’anni a questa parte ha adottato un certo numero di leggi e di decreti razzisti. Tutte queste misure sono state prese in nome di una stessa argomentazione: ci sono problemi di delinquenza e di degrado causati dagli immigrati e dai clandestini, che rischiano di scatenare il razzismo se l’ordine non viene ripristinato. Bisogna quindi sottoporre questi atti di delinquenza all’universalità della legge, per evitare che creino dei disordini razzisti. È un gioco delle parti che è in atto, a sinistra come a destra, dalle leggi Pasqua-Méhaignerie del 1993. Consiste nell’opporre alle passioni popolari la logica universalista dello stato razionale, cioè di dare alle politiche razziste di Stato una patente d’antirazzismo.
Sarebbe l’ora di rovesciare questa argomentazione e di sottolineare la solidarietà tra la “razionalità” statale all’origine di queste misure e questo avversario complice e comodo - la passione popolare - che essa sfrutta per meglio brillare. Nei fatti, non è il governo che agisce sotto la pressione del razzismo popolare e in reazione alle passioni cosiddette populiste dell’estrema destra. È la ragion di Stato stessa che alimenta il razzismo, a cui affida la gestione immaginaria della propria legislazione reale…
La natura stessa dello Stato è di essere uno Stato di polizia, un’istituzione che stabilisce e controlla le identità, i luoghi e gli spostamenti, un’istituzione in lotta permanente contro tutto ciò che sfonda le identità da lui stabilite…
Di qui un uso della legge che ottempera due funzioni essenziali: una funzione ideologica, che si configura nel dare costantemente corpo al soggetto che minaccia la sicurezza; e una funzione pratica, che porta a ridefinire costantemente la frontiera tra il dentro e il fuori, a creare costantemente delle identità fluttuanti, suscettibili di far cadere “fuori” quelli che finora erano “dentro”. Legiferare sull’immigrazione ha voluto dire, in un primo tempo, creare una categoria di sub-francesi, facendo cadere nella categoria fluttuante degli immigrati persone che erano nate sul territorio francese da genitori nati francesi (i giovani francesi delle banlieues di seconda o terza generazione). Legiferare sull’immigrazione clandestina ha voluto dire far cadere nella categoria dei clandestini degli “immigrati” regolari. È sempre la stessa logica che ha portato all’uso recente della nozione di “francese di origine straniera”. Ed è questa stessa logica che ha preso di mira oggi i rom…
Per costituire queste identità in sospeso lo stato non si preoccupa di cadere in contraddizione, come si è visto con le misure relative agli “immigrati”. Da un lato sono state varate delle leggi discriminatorie e delle forme di stigmatizzazione fondate sull’idea dell’universalità civile e dell’eguaglianza di fronte alla legge. Sono quindi previste sanzioni e/o vengono stigmatizzati coloro le cui pratiche si oppongono all’eguaglianza e all’universalità civica. Ma, dall’altro lato, all’interno di questa cittadinanza simile per tutti sono state imposte delle discriminazioni, come quella che distingue i francesi “di origine straniera”. Dunque, da un lato tutti i francesi sono eguali e guai a coloro che non lo sono, e dall’altro tutti non sono eguali e guai a coloro che lo dimenticano!
Il razzismo attuale è quindi prima di tutto una logica statale e non una passione popolare. E questa logica statale è sostenuta in primo luogo non da non si sa bene quali gruppi sociali arretrati, ma da una buona parte dell’élite intellettuale. Le ultime campagne razziste non sono per nulla il frutto dell’estrema destra cosiddetta “populista”. Sono state condotte da un’intellighentia che si rivendica come tale e di sinistra, repubblicana e laica.
La discriminazione non è più fondata sull’argomento delle razze superiori e inferiori. Ma si articola in nome della lotta contro il “comunitarismo”, in nome dell’universalità della legge e dell’eguaglianza di tutti i cittadini nei confronti della legge e in nome dell’eguaglianza dei sessi. Anche in questo caso, non si fa troppo caso alle contraddizioni; questi argomenti sono avanzati da gente che, in altre occasioni, fa ben poco caso all’eguaglianza e al femminismo. Nei fatti, l’argomentazione ha soprattutto l’effetto di creare l’amalgama richiesto per identificare l’indesiderabile: l’amalgama tra migrante, immigrato, arretrato, islamista, machista e terrorista. Il ricorso all’universalità è nei fatti utilizzato a vantaggio del suo opposto: l’insediamento di un potere statale di decidere a discrezione chi appartiene e chi non appartiene alla classe di coloro che hanno il diritto di essere qui, il potere, in breve, di conferire e di annullare delle identità. Questo potere ha un correlato: il potere di obbligare gli individui ad essere identificabili ad ogni istante, a mantenersi in uno spazio di visibilità integrale nei confronti dello Stato.
Vale la pena, da questo punto di vista, di tornare sulla soluzione trovata dal governo francese al problema giuridico posto dalla proibizione del burqa. Era difficile fare una legge che fosse specifica per alcune centinaia di persone di una religione determinata. Il governo ha trovato la soluzione: una legge che impone la proibizione generale di coprirsi il volto nello spazio pubblico, una legge che riguarda al tempo stesso la donna con il velo integrale e il manifestante con il volto dissimulato o coperto da un foulard. Il foulard diventa così l’emblema comune del musulmano arretrato e dell’agitatore terrorista. Questa soluzione - adottata, come parecchie altre misure sull’immigrazione, con l’astensione benevola della sinistra - fa riferimento al pensiero “repubblicano”. Ricordiamoci delle furiose diatribe del novembre 2005 contro i giovani dal volto coperto e con il cappuccio che agivano di notte (in occasione della rivolta delle banlieues)…
Concludo: è stata spesa molta energia contro una certa forma di razzismo - quella incarnata dal Fronte nazionale - e contro una certa idea di razzismo come espressione dell’ “uomo comune bianco”, che rappresenta gli strati arretrati della società. Buona parte di questa energia è stata recuperata per costruire la legittimità di una nuova forma di razzismo: razzismo di Stato e razzismo intellettuale “di sinistra”. Sarebbe forse tempo di riorientare il pensiero e la lotta contro una teoria e una pratica di stigmatizzazione, di precarizzazione e di esclusione che oggi costituiscono un razzismo che viene dall’alto: una logica di Stato e una passione dell’intellighentia”.
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