Primi giorni di scuola …anche in Sardegna!

22 Settembre 2010
1 Commento


Rosamaria Maggio - Presidente CIDI - Cagliari

Anche nell’isola le porte delle scuole si sono aperte ufficialmente il 15 settembre, in qualche caso anche il 13: l’autonomia scolastica consente infatti alle scuole, di modificare il calendario scolastico entro limiti ben precisi, purchè si salvaguardino i 200 gg di scuola per gli studenti del paese…benedetta unità nazionale!
Quest’anno la campana ha suonato ancora con alcune grandi novità che seguono quelle di questi 2 anni passati.
Quella che il Ministro Gelmini chiama una “riforma epocale”, va compiendosi, lasciando per strada pezzi di scuola democratica, di scuola per tutti, di scuola come luogo di costruzione del sapere, di implementazione di mobilità sociale.
I tempi della scuola sono lenti, sia nella costruzione di un miglioramento che di un peggioramento dei risultati.
Alberto Asor Rosa la definisce un presidio di resistenza. E’,nel bene e nel male, un luogo che si difende dagli assalti del berlusconismo ove le sue strutture ed i suoi docenti rimangono ancorati alla tradizione storica italiana.
Ma quest’anno si porta a compimento un progetto perverso di attacco alla scuola pubblica, con ulteriori tagli all’occupazione docente (solo in Sardegna saranno 1037 posti in meno), al personale ATA, con la riduzione del numero delle classi a seguito dell’aumento degli studenti per classe, col nuovo impianto delle superiori che prevede la riduzione di 4 ore settimanali nel curricolo degli Istituti tecnici e professionali.
Infatti paradossalmente, l’asse Gelmini-Tremonti, vorrebbe convincere il paese che, se i nostri studenti vanno meno a scuola, stanno in trenta o quaranta in classe ed hanno meno docenti, impareranno di più!
Cosicchè passando dal maestro unico, dalla riduzione del tempo pieno e prolungato e dalla riduzione dell’ orario delle superiori, noi dovremo avere migliori risultati nel quadro delle classifiche internazionali.
Su quali considerazioni didattiche, pedagogiche o di comparazioni internazionali siano basati questi assunti, non è dato sapere. Fino ad ora i raffronti internazionali hanno spesso preso a campione situazioni molto diverse fra loro e quindi non comparabili.
Ancora grave appare inoltre il fatto che sia stato applicato negli istituti superiori un regolamento il cui iter non è stato completato, tanto che esso non è stato ancora pubblicato sulla G.U. Ed anzi pende davanti al Consiglio di Stato la valutazione sulla legittimità dell’operato dell’amministrazione, già stigmatizzato in primo grado dal TAR del Lazio. Se il Consiglio di Stato dovesse confermare la sentenza del TAR, ad anno scolastico iniziato, bisognerebbe rivedere organici e quadro orario.Ma in caso contrario verrebbe sdoganata una grave operazione e cioè che in questo paese possono applicarsi norme che non sono formalmente ancora in vigore!
Ma cerchiamo di capire che cosa preoccupa il mondo della scuola.
In questi anni nessuna vertenza, nessuna protesta è stata portata avanti per ragioni contrattuali. Gli insegnanti e tutto il personale scolastico, hanno cercato di far capire a gran voce che, lungi dal difendere posizioni corporative, ciò che preoccupava coloro che tutti i giorni hanno a che fare con la crescita e l’istruzione dei nostri bambini e ragazzi, era altro.
Insegnare è un mestiere difficile e certamente lo è sempre stato.
Insegnare per far apprendere lo è ancora di più.
”Insegnare a chi non vuole imparare”2 è una impresa titanica.
Un tempo gli studenti che frequentavano la scuola erano una percentuale minoritaria e comunque prevalentemente motivata.
La sfida odierna è di insegnare a tutti senza lasciare indietro nessuno.
E’ quindi finita l’epoca in cui l’insegnante saliva in cattedra e senza preoccuparsi gran che di chi gli stava davanti, svolgeva la sua lezione con ricchezza di conoscenza, trasmettendo ai suoi allievi tutto il suo sapere.
Si trattava appunto di una didattica “trasmissiva”. Poi arrivavano le verifiche orali o scritte e chi sapeva andava avanti, chi no, restava indietro.
Oggi prevalentemente, il docente analizza la composizione della sua classe, verifica le condizioni di partenza di ciascuno, programma la sua attività e cerca di svolgere una didattica laboratoriale, coinvolgendo ciascun allievo nel percorso di insegnamento -apprendimento, sviluppando segmenti di ragionamento che attengono all’unità didattica che si sta affrontando, verificando con ognuno l’acquisizione dei concetti e dei ragionamenti necessari per comprendere il problema, attraverso una verifica continua (verifica formativa) e solo quando questo proecesso sarà completato potrà passarsi ad una valutazione quantitativa degli apprendimenti-
Questo tipo di lavoro diventa impossibile se si ha a che fare con più di 30 studenti e magari con sole due ore di lezione per disciplina alla settimana.
In queste condizioni nessun apprendimento è possibile se non per ragazzi motivati, sostenuti dalla famiglia, quelli cioè che imparerebbero anche senza insegnante.
E’ quindi la scuola per pochi che si vuole ripristinare ed è la scuola per tutti che si vuole distruggere!

1 commento

  • 1 Cristian Ribichesu
    22 Settembre 2010 - 07:42

    Condivido pienamente tutto l’articolo. Il problema sta nel convincere genitori, studenti, tutti i docenti, e i cittadini in genere, affinché prendano coscienza del fatto che questa tipologia di scuola, e sistema dell’istruzione in genere crea un divario sempre maggiore fra cittadini provenienti da contesti piú o meno abbienti. In questo modo aumenta la dispersione scolastica e per ogni anno in meno di studio di tutti i cittadini italiani si priva lo Stato di un incremento del 5% del reddito pro capite; per un taglio di 50.000 donne dall’insegnamento, dal mondo del lavoro, si priva lo Stato di un guadagno di 3 miliardi di euro l’anno. Immaginate, ora, il paradosso di un sistema che taglia 133.000 lavoratori e poi, chissá per quali arcani motivi, si attiva per formare nuovi docenti, davanti a 200.000 giá formati che attendono l’immissione in ruolo. Sulla questione vi invierò un mio articolo

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