Gonario Francesco Sedda
Uno degli impegni dell’attuale governo Berlusconi è quello di cambiare la composizione del paniere energetico di produzione di elettricità. Il piano predisposto punta a un paniere composto per il 50% di combustibili fossili (gas, petrolio, carbone pulito), per il 25% di nucleare e per il 25% di energia rinnovabile. La costruzione in Italia di quattro centrali nucleari entro il 2020 dovrebbe garantire un aumento della produzione di energia elettrica di almeno il 25%, tale da determinare sia la diminuzione del peso relativo dei combustibili fossili (dall’attuale 80% al 50%, appunto) sia la copertura di un aumento della domanda di elettricità nei prossimi dieci anni.
Uno dei buoni motivi per tornare al nucleare sarebbe proprio quello di “diminuire le importazioni di petrolio, gas e carbone”. La cosa a prima vista sembra banalmente vera, ma in fondo è ingannevole.
Infatti i combustibili fossili utilizzati nella generazione elettrica sono solo una frazione di quelli importati per altri usi (riscaldamento, trasporti, materie prime per la trasformazione industriale). Il ritorno al nucleare dunque determinerebbe una diminuzione delle importazioni di petrolio, gas e carbone solo se le altre voci concorrenti restassero ferme. La cosa varrebbe più o meno per le materie prime dell’industria; il riscaldamento a sua volta è influenzato da fattori di stagionalità; la domanda di derivati del petrolio per i trasporti invece è data dappertutto in aumento e nei prossimi decenni incomprimibile per volontà divina.
In Italia nel 2005 i prodotti energetici di origine fossile nel paniere nazionale erano pari all’88% (con prevalenza dell’olio combustibile e abbondante uso di metano), mentre nel paniere di generazione elettrica erano pari all’81% (con netta prevalenza del metano). Ma l’elettricità in Italia rappresenta meno di un quinto del totale dei consumi finali di energia (nel 2007 il 18% sul totale di 144,1 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio).
Bisogna dunque dimostrare che il rilancio del nucleare – oltre che abbassare il peso relativo della componente fossile per la produzione di elettricità e far fronte all’aumento futuro della domanda di energia elettrica – determinerebbe un abbassamento anche del peso relativo dei combustibili fossili nel paniere nazionale. Ma l’abbondanza di energia elettronucleare non influenza meccanicamente la dinamica di tutte le componenti del paniere energetico nazionale, che possono continuare ad aumentare determinando una crescita (o almeno una situazione di stabilità) della dipendenza energetica.
Nel mondo gli Stati Uniti sono (International Energy Agency - Key World Energy Statistics - 2009) il terzo produttore di petrolio, il secondo di gas e carbone, il primo di energia elettronucleare – con un peso relativo del 19,4% nel proprio paniere di generazione elettrica; e tuttavia importano il 65% (ed è previsto un aumento fin quasi al 75%) del petrolio e il 16% del metano impiegati.
L’Europa, col procedere dell’esaurimento delle proprie risorse di origine fossile, vedrà aumentare la propria dipendenza oltre il 90% per il petrolio e oltre l’80% per il gas, nonostante la presenza di una significativa produzione di energia elettronucleare.
La Francia, avanguardia del “rinascimento nucleare”, è (International Energy Agency - Key World Energy Statistics - 2009) il secondo produttore del mondo di energia da fissione nucleare – con un peso relativo del 77,9% nel proprio paniere di generazione elettrica; e tuttavia importa 81 milioni di tonnellate (Mt) di petrolio in confronto ai 94 dell’Italia senza nucleare, 44 Mt di gas naturale in confronto ai 77 dell’Italia senza nucleare e 21 Mt di carbone in confronto ai 25 dell’Italia senza nucleare. Differenze che non sembrano esaltanti se si tiene conto dell’abissale “divario nucleare” – da 0 a 78 – tra Italia e Francia nella composizione del paniere di produzione elettrica e che tale divario nel 2020 si ridurrà di meno di un terzo se tutto andrà nel modo migliore per i nuclearisti (cioè che il nucleare in Italia arrivi davvero al 25% nel paniere di generazione di elettricità e che la Francia mantenga il suo attuale 77,9%).
Insomma: la dipendenza dai combustibili fossili non è un problema solo dell’Italia in quanto priva di produzione di produzione elettronucleare. L’attuale sua maggiore dipendenza rispetto ad altri paesi è uno svantaggio relativo che tenderà a scomparire non in virtù di un non auspicabile rilancio del nucleare, ma perché gli altri paesi vedranno crescere la loro dipendenza dai combustibili fossili nonostante producano energia elettronucleare.
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