Paolo Flores d’Arcais - il Fatto Quotidiano, 16 aprile 2010
Tra Berlusconi e Fini la partita è “a somma zero”. Uno dei due ne uscirà sconfitto, irrimediabilmente. Lo abbiamo scritto già mesi fa. La posta dello scontro non consente mediazioni. Riguarda due concezioni antitetiche del suffragio universale: per il presidente della Camera una versione di destra della democrazia liberale, ispirata a De Gaulle. Per il caimano di Arcore un populismo plebiscitario a pulsione totalitaria, modellato sull’amico Putin (e in qualche tratto sull’amico Gheddafi). Uno scontro il cui esito ipotecherà un periodo non breve della nostra convivenza civile.
L’esito dipenderà dai modi in cui Fini arriverà allo showdown. Dando per scontato che abbia deciso, che il dado ormai sia tratto. Dovesse infatti fare marcia indietro, il patto che firmerebbe, al di là delle possibili apparenze di “compromesso”, sarebbe un “patto leonino”, in cui il ruolo della vittima da sacrificare non sarebbe certo assegnato a Berlusconi. La prima mossa di Fini, apprezzabile e coraggiosa (e comunque improcrastinabile), ha un difetto di fondo, che regala al ducetto miliardario una carta di vantaggio: appare legata a uno scontro di potere, ad una redistribuzione delle quote di influenza all’interno del Partito del predellino. Tema che certamente non è in cima ai pensieri dei cittadini, e rischia di gettare un’ombra di “avidità” che la strapotenza mediatica del Padrone amplificherà a dismisura attraverso le falangi dei suoi minzolini, di video e di penna.
Mentre se c’è una battaglia in cui un politico non è mosso da interessi piccini o inconfessabili, e anzi rischia tutto il potere e i vantaggi accumulati nei decenni, è quella che ieri ha aperto Fini. Riguarda infatti la sopravvivenza o meno dei valori della Costituzione repubblicana, le libertà di tutti e di ciascuno, un futuro europeo anziché da satrapia orientale. Non ci permettiamo consigli, che oltretutto la disinformacija di regime iscriverebbe come prova a carico del “tradimento comunista” di Fini (vedrete che ci arriveranno comunque). Ma essendo lo scontro sui principi della democrazia liberale, il banco di prova sarà sulle prossime leggi di svolta totalitaria, in primis quella che garantisce la galera ai giornalisti che continueranno a fare i giornalisti (il loro mestiere sarebbe infatti informare). Basta non votarle e spiegare il perché. Gli italiani capiranno. E se cade il governo, non è detto che non ci siano in Parlamento i numeri per un governo di “lealtà costituzionale”. E milioni di cittadini in piazza per appoggiarlo.
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