Cristian Ribichesu
Questo maggio è uscito un libro degli economisti e giornalisti Marco Iezzi e Tonia Mastrobuoni, “Gioventù sprecata, perché in Italia si fatica a diventare grandi”, edito dalla Laterza. Il libro, esemplare per la descrizione accurata e allo stesso tempo chiara delle dinamiche del lavoro che stanno vedendo una crescita della disoccupazione in Italia, rispetto allo scorso maggio 2009, e un inasprimento della dinamica della precarietà, diversa dalla flessibilità che assicura tutele e stipendi maggiori per i lavoratori a tempo determinato, con evidenti conseguenze negative sulla formazione di nuove famiglie e sull’andamento demografico, dedica il primo capitolo alla situazione che sta stringendo la scuola italiana.
Iezzi e Matrobuoni, nel capitolo “Ultimi a scuola”, indicano tre punti precisi come responsabili di un sistema scolastico che nelle indicazioni Ocse-Pisa vede i livelli di apprendimento degli alunni italiani in basso nella classifica dei trenta paesi esaminati:
stipendi bassi;
precarietà;
invecchiamento del corpo docente.
Per i due autori gli stipendi dei docenti italiani non solo sono bassi, al terz’ultimo posto dopo 15 anni di carriera tra i paesi industrializzati, i più bassi d’Europa, con un aumento di appena l’11% delle buste paga tra il 1996 e il 2006, contro l’incremento medio del 15% dei paesi industrializzati, ma addirittura a questo stato di cose fanno notare che si aggiunge un’imposta sui redditi pesante, con un’aliquota Irpef del 27% che non conosce eguali in Francia, Germania, Svezia, ecc. Inoltre, se nel 1998-99 gli insegnanti a tempo determinato erano il 9% del totale, 65.000 contro 726.000 di ruolo, nel 2007-08 quelli stabili erano 701.000 contro 142.000 a scadenza, l’83% contro il 17%. In più gli insegnanti con più di 50 anni in Italia sono oltre il 55% del totale, contro il 32% del regno Unito, il 30% della Francia e il 28% della Spagna. Quindi classe docente poco pagata e molto tassata, spesso precaria e con una media età elevata e un turnover bloccato.
Come detto, questo libro è esemplare e la sua pubblicazione cade in un momento particolare. Ma, in più rispetto al testo, per fare altri piccoli esempi riguardanti la cecità politica sulla scuola, alcuni economisti hanno calcolato che dall’immissione nel mondo del lavoro di 100.000 donne in Italia si avrebbe un aumento dello 0,28% del PIL, con un guadagno di 6 miliardi di euro all’anno. Se pensiamo che con il taglio di 8 miliardi di euro nella scuola si blocca il turnover della classe docente più anziana del mondo e meno pagata d’Europa, allontanando 133.000 persone, più di 88.000 docenti, dal lavoro, considerando che nelle scuole materne e nelle elementari le insegnanti donne superano il 97%, e che nelle medie sono più del 70% e circa il 60% nelle superiori, si può facilmente desumere che di quei 133.000 lavoratori tagliati nel sistema in tre anni almeno 50.000 sono donne, e per cui ogni hanno avremo almeno una perdita aggiuntiva 3 miliardi di euro per il mancato inserimento nel mondo del lavoro di così tante donne. Inoltre, se valutando che il Ministro Tremonti ha tagliato 8 miliardi di euro nelle scuole e poi per i tagli ha reinvestito 7 miliardi di euro per disoccupazioni e casse integrazioni, ma con un evidente danno a carico dei lavoratori della scuola e soprattutto dei precari, meno tutelati, meditando sul fatto che questa generazione “1000 euro”, quando va bene, maturerà tardi gli anni del pensionamento e con un sistema contributivo e non retributivo, è vero che molti studiosi hanno calcolato anche un ulteriore danno economico futuro dato dalle migliaia di integrazioni sociali che lo Stato dovrà dare alla generazione dei giovani di oggi, quelli compresi tra i 25 e i 40 anni, che in futuro avranno pensioni minime non sufficienti per un costo della vita sempre più alto.
E poi, se a maggio 2010, per l’Istat, l’occupazione maschile risulta in riduzione dell’1,1 per cento rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente, e quella femminile diminuisce dello 0,4 per cento rispetto ad aprile e dell’1,2 per cento nei confronti di maggio 2009, con tasso di disoccupazione maschile del 7,7 per cento, in aumento rispetto a maggio 2009 (1,1 punti percentuali), e un tasso di disoccupazione femminile del 10,1 per cento, in aumento rispetto al mese di maggio 2009 (+1,2 punti percentuali), è logico pensare che abbia influito negativamente il taglio di 42.104 docenti e 15.167 collaboratori scolastici (1.928 docenti e 591 collaboratori scolastici in meno per la Sardegna nel 2009/2010), per un totale di 52.171 posti di lavoro in meno in Italia per il corrente anno scolastico, e che la situazione non potrà che peggiorare con l’ulteriore taglio di circa 25.600 docenti, di cui 1.037 in Sardegna.
I danni aumentano, ancora, economicamente e socialmente, visto che in una scuola come quella odierna, dove le classi arrivano al totale di 30 alunni, mancando le ore a disposizione, utili per seguire individualmente gli alunni, si perdono centinaia di ore di lezione preziose, e non si curano gli alunni che hanno bisogno di più attenzioni per una scuola che tuteli veramente l’uguaglianza di base, colmando le differenze di partenza fra chi è più o meno fortunato. Così la dispersione e l’abbandono scolastico crescono, l’apprendistato corre il rischio di diventare una scelta non indipendente dalle variabili ambientali, diminuiscono i diplomati e conseguentemente il numero degli iscritti nelle università. Ma peggiorano anche i livelli d’istruzione se docenti vincitori di concorso e/o di scuole di specializzazione biannuali, o triennali nel caso in cui si sia conseguita l’abilitazione al sostegno, vengono allontanati dall’immissione in ruolo, in controtendenza con le leggi europee contro l’abuso del precariato, e ricevono gli stipendi in ritardo di mesi, come è logico che la qualità dell’insegnamento peggiori, come descritto da Iezzi e Mastrobuoni, se le retribuzioni dei docenti italiani sono le più basse d’Europa e i docenti italiani sono i più anziani del mondo.
E così bisognerebbe affermare non che i docenti italiani sono retribuiti inadeguatamente perché i livelli di apprendimento sono diminuiti e quindi è peggiorata la qualità dell’insegnamento, ma che avendo peggiorato le condizioni del lavoro dell’insegnamento, anche con una considerazione economica ingenerosa nei confronti del lavoro del docente, si sono create falle nel sistema che hanno portato al peggioramento dei livelli di apprendimento. Insomma, non vedere i danni che si stanno creando a tutta la nazione, e non solo alla Sardegna, che però gode di un primato negativo di disoccupazione, ingrassata dai tagli nelle scuole, e di abbandono scolastico, rimanendo insensibili alle richieste di tutela e difesa del mondo della scuola, anche solo attraverso il rispetto della legge sulla sicurezza nelle scuole, che pone un limite massimo di 26 persone per aula, elevabile solo dotando le classi di porte più grandi, ma vincolato sempre all’indice di affollamento, che prevede 1,80 mq di spazio per persona nelle scuole elementari e medie, e 1,96 in quelle superiori, e che da una sua corretta applicazione ridurrebbe il numero massimo di alunni per classe creando realmente le condizioni per una didattica ottimale, diventa colpevole e complice di una egoistica e cattiva gestione della cosa pubblica.
Così, politichese, dietrologie del momento, contrarietà nei confronti di chi vuole difendere la scuola, anche rendendosi indisponibili ad affiggere cartelli sulle porte delle aule, indicanti dimensioni e capienza massima di persone in quello spazio, sono atteggiamenti politici che, nel particolare frangente in cui si trova il mondo dell’istruzione e della situazione lavorativa dei docenti e Ata precari della scuola, non possono essere accettati. Non si possono accettare risposte del tipo “non possiamo attaccare cartelli del genere nelle scuole altrimenti corriamo il rischio di chiuderle se non sono a norma”, in un momento così delicato, né dalla destra, che ha creato la “riforma”, e che, come ci dice De Mauro ne “La cultura degli italiani”, già da tempo si rifà a politiche internazionali di alcuni economisti come Friedman, che vorrebbe sostituire i docenti con i computer, ma neanche da certa sinistra che non ha il coraggio di seguire la legge e di impostare una vera politica scolastica che ha la soluzione dei mali nella formula della semplicità, quella della riduzione del numero massimo degli alunni per classe e nell’assunzione dei docenti precari già formati e preparati e che sono essenziali per il ricambio generazionale della classe insegnanti. Non si può continuare a far finta di nulla, spesso speculando sui mali della scuola con le soluzioni più bizzarre e complicate, quando sono le basi, l’insegnamento del mattino, che devono essere garantite. Non si può, come dice Saramago, ne “Il vangelo secondo Gesù Cristo”, sul passo “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, giustificare gli atteggiamenti sbagliati e negare le critiche perché tutti sbagliamo, altrimenti non ci sarebbe quella tensione verso il miglioramento. Non si possono aumentare gli alunni per classe e tagliare i docenti vincitori di concorsi e scuole di specializzazione perché stiamo negando al Paese e alle persone il diritto all’uguaglianza, principio basilare del vivere civile, ribadito la scorsa settimana dallo scrittore Camilleri sulle pagine dell’Unità.
Insomma, se economisti e tecnici dell’istruzione e del lavoro da più di un anno ribadiscono, anche attraverso pubblicazioni di libri, come quest’ultimo “Gioventù sprecata”, che è giusto sbloccare il turnover per l’assunzione dei docenti precari, e che è giusto adeguare lo stipendio dei docenti italiani a quello degli altri colleghi europei, e che inoltre non è didatticamente ottimale fare lezione in classi di trenta alunni, davanti all’abbondanza di indicazioni tecniche non si può che affermare che l’indifferenza politica sui problemi del sistema scolastico ha anche delle aggravanti di colpevolezza.
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