Giancarlo Caselli
Andrea Orlando è intervenuto nell’aprile scorso sul quotidiano Il Foglio per esporre le proposte del Pd nel settore Giustizia, di cui è responsabile. Ecco la riflessione su di esse dei Giancarlo Caselli nello stesso quotidiano del 15 aprile.
Vari commentatori temono che possa esservi troppa disponibilità al dialogo purchessia. Orlando (anche sul Fatto di domenica scorsa) ha respinto l’ipotesi e gliene va dato atto. Ma forse vi sarebbero state meno perplessità senza lo strano invito a fingere che in Italia il problema sia “solo quello di far funzionare la giustizia”, dimenticando il premier con i “suoi processi da aggiustare e le sue vendette da consumare”. Anche il Candide di Voltaire faticherebbe ad astrarsi così tanto, essendo impresa davvero ardua fingere di vivere nel migliore dei mondi mentre la realtà che incombe è tutt’affatto diversa. Del resto, l’interlocutore prescelto da Orlando non gli ha reso un gran servizio intitolando il suo intervento: “Caro Cav, il Pd ti offre giustizia”. Dove - a parte il tu confidenziale - sintomatica è soprattutto la parola “offre”: posto che offerta (Devoto-Oli) è l’atto rituale di riconoscimento della divinità, mediante destinazione ad essa dei prodotti del proprio lavoro. Come a dire che in fondo interessa non tanto il dialogo ma piuttosto l’ossequio…Altre perplessità potrebbero sorgere proprio per la scelta dell’interlocutore, se si considera che Il Foglio si è spesso segnalato per l’insofferenza verso i magistrati (maledetti giustizialisti!) colpevoli di concepire le garanzie come veicolo di eguaglianza, mostrando invece di preferire un garantismo “strumentale” che depotenzi la magistratura di fronte al potere politico ed economico. Per cui suona un po’ singolare che si rammenti alla sinistra che “tra le sue radici c’è la cultura delle garanzie”, come fa Orlando, proprio mentre ci si applica su Il Foglio. Ma ciascuno è ovviamente libero di chiedere ospitalità a chi crede.
Ma veniamo alle proposte di Orlando. Impossibile non essere d’accordo con lui quando chiede di puntare l’attenzione sulle cause civili, mentre ricorda che il processo penale obiettivamente punisce secondo criteri di classe. E’ giusto pretendere una revisione dei meccanismi delle notifiche e una semplificazione delle impugnazioni. E’ sacrosanto definire fondamentale il tema dell’organizzazione e delle risorse. Anche se non si può fare a meno di osservare come sia fuorviante porre oggi un problema di “qualificazione del personale amministrativo”, quando in verità si tratta di una specie in via di estinzione per la voragine ormai cronica fra organici e forze effettive.
Fin qui però siamo nel perimetro entro cui non è difficile, se davvero si vuole migliorare un sistema allo sbando, trovare una base comune. Dove il gioco si fa duro è quando si passa a parlare di giusti tempi del processo, obbligatorietà dell’azione penale, sistema elettorale del Csm, distinzione dei ruoli fra pm e giudici, azioni disciplinari. Qui le proposte di Orlando rivelano – a mio giudizio – un limite. L’opposizione rinunzia ad un suo autonomo programma. Assume una posizione subalterna adattandosi passivamente all’agenda di gran parte della maggioranza, senza chiedersi se siano proprio questi i nodi reali della questione giustizia oggi in Italia, posto che tale agenda ha come principale obiettivo (come non accorgersene?) la riforma non della giustizia ma dei giudici, oggi troppo indipendenti per poter essere ancora tollerati da quelli che gli viene l’orticaria se solo si accenna a legalità, regole e controlli. Un limite: tanto più che mettersi in scia, giocando solo di rimessa senza schemi propri, comporta il rischio di perdere e perdersi.
Nel merito, meriterebbero di essere commentate tutte le proposte di Orlando, ma c’è spazio solo per alcune. Scelgo innanzitutto l’obbligatorietà dell’azione penale. Una pietra angolare della democrazia, che va difesa. Partire dallo sfascio del sistema per rimuoverla può far comodo a chi non crede nell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Ma chi ci crede dovrebbe lavorare perché il sistema funzioni consentendo al principio dell’obbligatorietà di diventare effettivo. Non accettare di fatto la logica di chi vorrebbe buttar via il classico bambino profittando dell’acqua sporca. Quanto alla polemica sulle correnti, condivido l’opinione di Rita Sanlorenzo (segretaria di quella banda di irriducibili iconoclasti che è Md…) secondo cui il loro dominio sull’elezione dei componenti togati del Csm si contrasta introducendo un sistema elettorale proporzionale su liste, che riporti il potere di scelta in mano ai magistrati, come vuole la Costituzione. E’ il sistema positivamente sperimentato per l’elezione dei Consigli giudiziari: preferire un sistema elettorale maggioritario su base regionale sostituirebbe inevitabilmente, ai difetti del correntismo, lo sfacelo del clientelismo localistico. Orlando pone poi il problema della “efficacia delle attuali azioni disciplinari”.
Mai come in questo caso occorre partire dai dati di fatto. Nel 2009 ci sono state 62 condanne e 17 uscite dall’ordine giudiziario, su un corpo di circa 9000 magistrati. Una “efficacia delle attuali azioni disciplinari” che è nettamente superiore a quella di ogni altra amministrazione pubblica o ordine professionale. Dunque non un plotone di esecuzione, ma neppure quella “giurisdizione domestica” spacciata dalla propaganda di coloro che - provando fastidio per l’indipendenza della magistratura - vorrebbero regolare alcuni conti con il suo organo di autogoverno. Dunque, va bene discutere di tutto, ma partendo dalla realtà, non assumendo posizioni subalterne all’agenda altrui che possono favorire compromessi al ribasso.
Infine, sbaglia a mio giudizio Orlando quando dice che “intanto…si parla troppo, solo, di intercettazioni”. E no: proprio qui sta la cartina di tornasole di ogni possibile riforma della giustizia. Cambiare la disciplina delle intercettazioni, pretendendo indizi non più di “reato” ma di “colpevolezza” (l’aggettivazione in un modo o nell’altro non sposta le cose) significa che ad esse si potrà di fatto ricorrere soltanto quando si conosce già il colpevole, e cioè quando le intercettazioni non servono più a nulla. Peggiore mortificazione della giustizia non si può immaginare, trattandosi di una mortificazione che sacrifica la sicurezza di tutti i cittadini sull’altare dell’interesse di pochi. Ma mortificare la giustizia è in rotta di collisione con qualunque seria volontà di riforma. Altro che parlarne troppo! Tutto ciò va gridato preliminarmente a piena voce, sostenuto con contrapposizione dialettica forte e senza riserve. Altrimenti può riaffiorare la preoccupazione (o l’accusa) che una parte dell’opposizione in tema di giustizia non voglia poi differenziarsi troppo dalla maggioranza politica contingente, ma preferisca una sostanziale omogeneizzazione.
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