Giancarlo Caselli
Ogni sentenza non gradita al presidente del Consiglio genera accuse e insulti: l’investitura popolare non dà a nessuno il diritto di offendere. In proposito ecco un articolo di G.C. Caselli su il Fatto Quotidiano del 13 febbraio
Vergognatevi! E’ il delicato invito che il presidente Berlusconi ha rivolto ai magistrati fiorentini “colpevoli” di aver scoperchiato quello che (pur con le cautele imposte dal principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza) sembra essere l’ennesimo maleodorante intruglio di corruzione e malaffare, con relativo spreco di denaro pubblico e conseguente impoverimento della collettività.
Per favore, basta con gli insulti. Che i magistrati non debbano inseguire il consenso, meno che mai gli applausi, è sacrosanto. Ma pretendere rispetto è un’altra cosa. E se invece del rispetto dovuto (che è la regola di tutte le democrazie) i magistrati ricevono fango perché stanno facendo il loro dovere (ricorrendone i presupposti in fatto e diritto l’azione penale – in Italia – è obbligatoria; e la legge uguale per tutti), c’è poco da stare allegri.
Intendiamoci, le critiche sono sempre benvenute: aiutano a sbagliare di meno. Ma le aggressioni non sono critiche. Dire che i magistrati sono una metastasi, un cancro da estirpare, sostenere che sono pazzi, antropologicamente diversi dal resto della razza umana, persecutori politicizzati e via offendendo, arrivando infine a prescrivere la vergogna come terapia, non è certo criticare. La canzone ormai è vecchia e sembra piuttosto un disco rotto. Ma anche se le note sono scassate, c’è sempre uno sciame di chansonniers (epigoni del “capo”) pronti a esibirsi. Lo spartito è sempre lo stesso, ma gli obiettivi cambiano.
All’inizio ad essere oggetto di attacchi apodittici ed indiscriminati erano solo alcuni procuratori. Ma poi – man mano che le indagini si concludevano – hanno cominciato ad essere delegittimati e offesi i magistrati giudicanti: tutte le volte che han dovuto occuparsi di processi “sgraditi” e han deciso in maniera contraria alle pretese dei diretti interessati. Poi l’attacco si è addirittura rivolto contro le Sezioni unite della Corte di Cassazione e contro la Corte costituzionale, vertici giudiziari e di garanzia del nostro sistema democratico, colpevoli di non aver deciso “a modino” in due casi che molto stavano a cuore all’eccellentissimo imputato.
Il problema dunque non è costituito da qualche procuratore. L’attacco è per così dire a geometria variabile, nel senso che può subirlo qualunque magistrato – pm o giudice, quale che sia l’ufficio o città in cui opera – ogni volta che abbia la sfortuna (non trovo altra parola) di imbattersi in vicende delicate, e le sue decisioni risultino sgradite lassù in alto. Lo prova (salvo improbabili omonimie) la vicenda del gip di Firenze che ha scritto l’ordinanza al centro dell’ultima “querelle”: oggi attaccato, ieri invece (quand’era gip a Milano) osannato per l’archiviazione – gradita al premier – dell’inchiesta sul cosiddetto Lodo Mondadori.
A volte mi tormenta un paradosso: se un magistrato non subisce mai certi attacchi, è particolarmente fortunato oppure non gli farebbe male un po’ di introspezione? Paradossi a parte, in ogni caso si pongono alcune questioni che ovviamente prescindono da questo o quel caso specifico, essendo evidente la loro portata istituzionale. E’ giusto gettare pregiudizialmente fango su un magistrato solo perché indaga – per fatti specifici – dove qualcuno vorrebbe che non si mettesse il naso?
E viceversa, quando si tratta di personaggi di peso (indagati – ripeto – per fatti specifici e non certo per il loro status) giustizia giusta è, per definizione, solo quella che assolve? Ragionando in questo modo, non si sovvertono le regole fondamentali della giustizia? Non si incide sulla serenità di giudizio? Dove sta la linea di confine fra attacco e intimidazione?
La magistratura – ne sono convinto – dimostra di saper tenere la barra dritta: ma fino a quando? Entrare in simili ragionamenti (anche solo per respingere vuote accuse) costa molta fatica, ma tacere sarebbe profondamente ingiusto, posto che l’investitura popolare non dà a nessuno – neppure al premier – il diritto di offendere.
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