Non refusi, mascalzonate

18 Luglio 2010
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Galapagos

Maurizio Sacconi, ministro del welfare può scegliere: preferisce essere definito «cretino» o «mascalzone»? Perché tanto accanimento contro un ministro ex socialista? La colpa è tutta di un «refuso», come lui stesso ha definito un emendamento alla manovra correttiva del governo presentato dal relatore Azzolini: introduceva una stretta sulle pensioni di anzianità, quelle maturate con almeno 40 anni di contributi: «non era intenzione né del governo né del presidente della commissione bilancio – affermò Sacconi – introdurre questa norma. Cancelleremo il refuso». Falso clamoroso.
Ieri è intervenuto Giulio Tremonti a «dare la linea».
Da Bruxelles ha fatto sapere che l’emendamento che avrebbe fatto saltare il limite dei 40 anni di contributi utili per la pensione «non era un refuso». Al contrario «la riforma è stata fatta passare in Italia con un emendamento senza alcuna protesta, nella pace sociale, senza un solo giorno di sciopero». In realtà il manifesto fin dall’inizio (2 luglio) sentì puzza di bruciato: la marcia indietro del governo non ci convinceva: era la logica continuazione della politica degli annunci e poi delle ritrattazioni frettolose, ma non troppo.
Il tutto basato sul principio che è importante che di certi aspetti sgradevoli si cominci a parlare. Perché quando la decisione verrà presa sul serio, la gente vi avrà già fatto «il callo». Ma si governa in questo modo? E quando domani il senato voterà a scatola chiusa e senza dibattito la fiducia alla manovra, che testo sarà approvato? Perché Tremonti è così trionfalista? Perché lui e Berlusconi non fanno come si fanno tutti i governi a cominciare da quelo consevatore di Cameron che bastonano le masse, ma almeno hanno il coraggio di affermarlo? Chiaramente siamo di fronte a un vuoto di democrazia, al trionfo del doppio gioco.
Ha ragione la Cgil: quella alla quale stiamo assistendo è «una manomissione strutturale del sistema previdenziale, fatta di nascosto, contro i lavoratori e soprattutto le lavoratrici, con il solo obiettivo di fare cassa». Il tutto con la copertura dell’Unione europea che ha fornito l’alibi per far innalzare l’età (a 65 anni) delle lavoratrici pubbliche sostenendo che i loro 60 anni ledevano gli interessi degli uomini.
Vale la pena ricordare che le pensioni con la «riforma dei parametri» sono sempre più sottili; che le liquidazioni sono più piccole e che l’età per maturare il diritto alla pensione sta crescendo e crescerà (ogni 3 anni) sempre di più. Il tutto mentre si sta innalzando l’età dell’entrata nel mondo del lavoro, il lavoro stabile è una chimera e i contributi per i lavori atipici sono una vergogna che non garantisce il loro futuro.
A Tremonti, però, tutto questo piace. E se ne vanta. Chissà se lo fa anche nelle cene con Bonanni (Cisl) e Angeletti (Uil) che da un po’ di tempo sono parecchio «culo e camicia», come direbbe Renato Pozzetto, con governo e padroni. Quello che ha trionfato è l’idea classista che la fuoriuscita dalla crisi la debba pagare il lavoro privato di ogni diritto. A cominciare dalla stabilità del posto di lavoro, fino al salario. Purtroppo il berlusconismo ha trionfato.

(da Il Manifesto del 14.7.2010)

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