Il partito delle nebbie

17 Luglio 2010
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Livio Pipino

Poco meno di vent’anni fa, mentre le indagini di Tangentopoli sembravano far vacillare il sistema politico, un parlamentare democristiano invitò i suoi sodali ad avere pazienza e ad aspettare fiduciosi che «i vertici della magistratura riprendessero l’antico potere»… Sbagliò - quel politico - i tempi, ma colse esattamente i termini della questione.
L’intreccio tra magistratura e luoghi del potere politico ed economico è stato, infatti, una costante, nella storia del nostro Paese. Ancora negli anni Settanta un Procuratore generale della Cassazione definiva gli infortuni sul lavoro «una fatalità», gran parte della magistratura siciliana era attestata sulla tesi che «la mafia non esiste», la Procura della Repubblica di Roma era allegramente (e non per caso) chiamata «porto delle nebbie».
Inoltre i vertici della magistratura partecipavano a cerimonie in cui imprenditori inquisiti e politici corrotti venivano insigniti delle massime onorificenze della Repubblica e poteva anche accadere che un Procuratore generale non disdegnasse di rilasciare affidavit per il suo amico Sindona. Di più, nel programma della loggia segreta P2 - sciolta per legge nell’ormai lontano gennaio 1982, ma trampolino di lancio per molti protagonisti dell’attuale stagione politica e istituzionale - si individuava, con riferimento alla magistratura, un alleato naturale «nella corrente di Magistratura indipendente, che raggruppa oltre il 40% dei magistrati italiani», aggiungendo che «è sufficiente stabilire un raccordo sul piano morale e programmatico ed elaborare una intesa diretta a concreti aiuti materiali per poter contare su un prezioso strumento già operativo all’interno del corpo» (progetto ben coltivato se il segretario generale di quella corrente venne, qualche anno dopo, radiato, con sentenza 9 febbraio 1983 del Consiglio superiore, per la sua adesione alla P2 e per avere, tramite il maestro venerabile di quest’ultima, ricevuto cospicui finanziamenti… ).
Quell’intreccio perverso, quella omogeneità di settori consistenti della magistratura con il sistema politico è stato in grande misura spezzato negli anni Settanta. Non per caso ma per l’attività di denuncia delle forze democratiche e per l’irrompere nel corpo giudiziario dell’eresia di Magistratura democratica. Un’eresia che ha significato rottura delle protezioni corporative, rifiuto del conformismo, introduzione nell’istituzione del punto di vista esterno, critica di modalità di gestione degli uffici e anche di orientamenti giurisprudenziali o decisioni giudiziarie. È stato lo scandalo di un gruppo di magistrati che ha introdotto nel corpo giudiziario un modo di vivere, di pensare, di agire, di fare - come è stato detto - «le cose che altri non hanno la voglia o la forza o il coraggio o la fantasia di fare» nella strada tracciata dalla Costituzione, in particolare dall’articolo 101 che vuole i giudici soggetti soltanto alla legge (escludendo ogni altra dipendenza, diretta o indiretta, dal palazzo e dai suoi esponenti, dalle contingenti maggioranze, dai potentati economici o culturali e via seguitando).
Ma non tutto è acquisito una volta per sempre. E così, mentre a destra e anche a sinistra, ci si strappava le vesti per la politicizzazione di giudici e pubblici ministeri, antichi rapporti si sono rinsaldati e stanno celebrando la loro rivincita. Le mortificanti intercettazioni pubblicate in questi giorni da alcuni quotidiani rendono evidenti relazioni e intrecci impropri, fino ad oggi sottovalutati anche in sede di autogoverno della magistratura. Eppure ciò è stato ripetutamente denunciato nel Csm. Così - per limitarsi ai nomi che oggi ricorrono sulla stampa - c’è, in Consiglio, chi ha votato Carbone come primo presidente della Cassazione e chi ha cercato fino all’ultimo di ostacolarne la nomina, c’è chi ha votato Martone come avvocato generale della stessa Cassazione e chi si è opposto, chi ha votato Marra per la presidenza della Corte di appello di Milano e chi gli ha contrapposto Rordorf, chi - in più occasioni - ha chiesto un dibattito esplicito su rapporti impropri di alcuni consiglieri evidenziati da intercettazioni telefoniche (disposte dalla Procura di Trani e da quella di Roma) e chi ha preferito il silenzio o ha archiviato la «pratica» e via elencando. E c’è chi, in quelle occasioni, ha denunciato esplicitamente «disinvolture», «sottovalutazione della cultura delle regole», «pressioni esterne», «collegamenti con centri di potere incompatibili con delicati incarichi giudiziari» e chi, invece, si è detto «sdegnato» per simili insinuazioni.
La partita è tuttora aperta e può essere vinta. L’importante è che gli eretici non si smarriscano per strada…

(da Il Manifesto 14.7.2010)

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