Andrea Pubusa
Quando, nel 1985-86, come Presidente, proposi alla Prima Commissione del Consiglio regionale l’approvazione di una serie di leggi per democratizzare l’amministrazione regionale, devo ammettere che trovai negli interlocutori principali non solo ascolto, ma anche collaborazione convinta. Era mio vice Pasquale Onida, allora DC e fresco di elezione, che si convinse subito della bontà dell’iniziativa, e per i socialisti c’era Francesco Oggiano, avvocato tempiese, acuto politico e persona di eccezionale umanità e sensibilità democratica. Governava una giunta di sinistra e sardista, con a capo l’indimedicabile Mario Melis, e noi della Prima Commissione decidemmo che intervenire sull’amministrazione non era nell’interesse di questo o quel partito, ma della Sardegna e dei sardi. Predisposi così un pacchetto di proposte da far firmare a tutti i membri della Commissione (esclusi i fascisti), ispirandomi in parte ai risultati della Commissione Nigro (quella che ha predisposto la L. 241 statale), in parte all’elaborazione del Centro per la riforma dello Stato, allora presideuto da Pietro Ingrao. Nel lavoro preparatorio ebbi più che la collaborazione, la condivisione di Tonino Dessì, non solo funzionario del Consiglio regionale, ma fine giurista e componente della Direzione regionale del PCI.
Lavorammo così unitariamente alla legge sul diritto d’accesso, approvata in Sardegna con ben quattro anni d’anticipo sulla legge 241 statale, introducemmo una serie di innovazioni alla disciplina regionale sui referendum, allargandone l’appliacazione ai referendum d’indirizzo, a cui lavorava appunto il Centro per la Riforma dello Stato di Ingrao. Ci fu un infortunio sulla L. n. 241 sarda, che in Aula fu bocciata la prima volta (ricordo che Giorgio Carta, animatore della fronda, danzò dopo il voto a scrutinio segreto), ma riuscimmo a farla passare (ben più garantista della L. 241 nazionale) nell’agosto 1990 in contemporanea con quella votata dal Parlamento nazionale.
Una pagina dimenticata del riformismo di quegli anni, ma di cui ancora si vedono gli effetti positivi. Uno di questi è il referendum d’indirizzo contro il nucleare, su cui proprio in questi giorni si avvia la mobilitazione con l’apposito Comitato lanciato da Bustianu Cumpostu e da tante altre associazioni e personalità.
Su questa positiva iniziativa vanno però ricordate alcune cose:
- anzitutto, che - per giurisprudenza costante della Corte costituzionale - la materia (il nucleare, scorie comprese) rientra nella potestà esclusiva statale. E’ dunque probabile che il governo sollevi il conflitto d’attribuzioni, con un giudizio negativo della Corte scontato. In proposito si ricordi che tale fu la fine del referendum d’indirizzo sulle basi di La Maddalena indetto alla fine degli anni ‘90, che fu appunto cassato (nonostante la difesa di Valerio Onida, negli anni successivi componente e poi presidente della stessa Corte) dalla Corte costituzionale, quando ci si apprestava a votare;
- secondariamente, c’è la questione del quorum, che nel 1986, decidemmo di abbassare al 33% per renderlo più facilmente raggiungibile, ma che rimane terribilmente alto, sopratutto in tempi di astensionismo crescente.
Che fare allora?
Sulla prima questione, se verrà sollevato il conflitto d’attribuzioni, occorrerà pensare ad una iniziativa con un quesito per così dire “convenzionale”. Mi spiego: un quesito formulato per superare il vaglio del Governo e della Corte, ma a cui i promotori danno dichiaratemente una valenza più pregnante del tenore letterale. In fondo così è avvenuto anche per il no al nucleare nazionale, dove l’illegibbile quesito riguardava una competenza degli enti locali, ma che tutti leggemmo come NO al Nucleare in Italia.
Sulla seconda questione bisogna essere franchi. Ciascuno può essere mosso al referendum da presupposti diversi, che vanno dal semplice no al nucleare all’indipendentismo nelle sue varie gradazioni, una cosa dev’essere però chiara e cioé che se si vuole un’ampia adesione e mobilitazione occorre che tutti, responsabilmente, stiano al tema, ossia al No al Nucleare. Se il Comitato prenderà altre strade, pur rispettabili, sappia che condurrà una battaglia strettamente minoritaria, che non giova né ad allontare il nucleare dall’Isola nè alla pretesa di sovranità sarda. E sia ben chiaro che la consultazione elettorale è un’arma a doppio taglio: se la partecipazione sarà ampia, diverrà un ostacolo per le mire rapaci del governo nazionale sull’isola, se sarà bassa verrà preso a pretesto per sostenere che i sardi, in fondo, sono d’accordo ad aprire il loro territorio al nucleare. Si ricordi in proposito, che tutti gli antireferendari, di ogni risma e colore, sommano ai votanti contrari al quesito quello degli astenuti. Non ha fatto così anche Soru sulla Statutaria? Ed allora bando alle impostazioni minoritarie, sì alla mobilitazione ampia e grande senso di responsabilità per realizzarla. La sovranità avanza vincendo le battaglie, non facendo mera testimonianza.
3 commenti
1 Bomboi Adriano - SANATZIONE.EU
9 Luglio 2010 - 17:22
Osservazioni condivisibili e già fatte presenti ad alcuni membri organizzatori. Il problema politico principale (oltre al relativo rischio boomerang in caso di fiasco del referendum) è che, forse, c’è stata poca attenzione ad invitare preventivamente le sigle del centrodestra italiano, le quali avrebbero (o avranno) la possibilità di fornire una valenza politico-simbolica superiore di contrasto (proprio per l’allineamento con il Governo Italiano). Sul resto ovviamente sarà sempre e comunque Roma ad avere l’ultima parola (purtroppo) sulla pertinenza nucleare.
2 aldo lobina
9 Luglio 2010 - 20:52
Ma tradire le aspettative di un popolo - se espresse nelle forme lecite - significa imporre la spada di Brenno.
E’ il momento in cui un popolo vinto può trovare la forza di rialzare la testa e con quella far valere tutte le questioni della sua sovranità. Altro che federalismo! Conta una buona campagna di sensibilizzazione e informazione sui pro e i contro del nucleare, ma importa soprattutto la convinzione profonda che decisioni così importanti non possono essere imposte. La democrazia pretende partecipazione e questa deve essere promossa fin d’ora sulla questione energetica. Magari con una pianificazione diversa e più compatibile con questo territorio, che è prima di tutto nostro. Spetta quindi orima di tutto a noi il progetto per soddisfare i nostri fabbisogni energetici.Dobbiamo essere pronti, avere una soluzione diversa da quella che Brenno potrebbe volere . La storia non la fa solo Brenno, la fa anche Furio Camillo.
3 giuseppe
9 Luglio 2010 - 23:00
ancora contro Soru ! eh ‘ signor Pubusa’ la lingua batte dove il dente duole! O meglio ‘ la volpe e l’uva’.
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