Antonello Murgia
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. (Art. 32 Cost. It.)
La Costituzione italiana è nata in una fase storica nella quale la politica di aggressione nazifascista aveva messo giuristi e politici di fronte all’esigenza di tutelare i diritti fondamentali degli individui e di impedire quelle mire di sopraffazione che si erano manifestate in modo crescente fino allo scoppio della II Guerra mondiale. Fu così che gli anni attorno a tale guerra segnarono lo spartiacque fra il vecchio costituzionalismo e quello moderno, il passaggio da un costituzionalismo che si accontentava di dirimere le “beghe di cortile” ad uno che si assumeva il compito di individuare i diritti che sempre e comunque andavano garantiti, “dappertutto nel mondo” (F.D. Roosevelt) a tutti gli individui di qualsiasi colore e di qualsiasi latitudine. E’ la fase che Valerio Onida ha chiamato, con una felice espressione, della “internazionalizzazione del diritto costituzionale” e di cui la nostra Carta fondamentale rappresenta un validissimo esempio. Tale esigenza venne avvertita ancor più per il diritto alla salute in quanto alla sua inclusione fra i diritti fondamentali si aggiunse l’esigenza di condannare i gravi atti di collaborazione da parte di numerosi medici all’orrore dei campi di concentramento nazisti, atti che non potevano in alcun modo essere giustificati dalla necessità di ubbidire ad ordini superiori. Fu così che nacquero la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (ONU, Parigi 1948) e la dichiarazione dell’Associazione Medica Mondiale (Ginevra 1948: “… nemmeno sotto costrizione farò delle mie conoscenze mediche un uso contrario alle leggi dell’umanità…”). L’Italia, che conosceva una stagione di grande fermento, grazie anche ad una classe politica di assoluto rilievo (v. composizione dell’Assemblea Costituente), si era nel frattempo portata avanti nel lavoro e aveva, quasi un anno prima, emanato una Costituzione che all’articolo 32 non solo sanciva il diritto alla salute come diritto fondamentale, ma prevedeva anche che “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Ma i contenuti dell’art. 32 hanno solo un carattere genericamente programmatico o anche prescrittivo? L’affermazione che la salute è non solo diritto fondamentale dell’individuo, ma anche interesse della collettività sembra lasciare pochi dubbi, anche se le scelte del Governo attuale vanno in direzione opposta: lo Stato si assume il compito di programmare lo sviluppo di un sistema di tutela della salute, ma anche il dovere di garantire sempre e comunque l’esigibilità dei diritti fondamentali. Certo, era difficile realizzare la cosa da un momento all’altro: il retroterra culturale/organizzativo dell’immediato dopoguerra era quello fascista, che aveva lasciato in eredità il sistema corrotto e clientelare delle mutue, che costava moltissimo e forniva prestazioni di modesta qualità, per giunta subordinate alla condizione di lavoratore o pensionato o di loro familiare. Il carattere non poteva quindi essere materialmente prescrittivo dall’oggi al domani. Però poteva diventarlo in tempi ragionevoli, seguendo il dettato costituzionale: cosa che il parlamento realizzò in un percorso non sempre in discesa, che passò attraverso l’istituzione degli enti ospedalieri, il commissariamento e la successiva eliminazione delle mutue, etc., fino alla emanazione della legge 833/1978 di istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. I principi di fondo della L. 833 furono l’universalità (diritto di tutti), la globalità (non solo cura, ma anche prevenzione e riabilitazione), l’uguaglianza (nessuna discriminazione in base a capacità economiche, censo, razza, etc.), solidarietà (finanziamento con la fiscalità generale, cioè ciascuno contribuisce in rapporto alle sue possibilità economiche).
E’ evidente il contrasto fra l’affermazione che quello alla salute è un diritto dell’individuo e non del cittadino (come invece previsto negli altri diritti) e l’azione dell’attuale Governo che, guidato più dalla peristalsi intestinale leghista che dalle comunicazioni sinaptiche cerebrali del ministro della salute, ha cercato a lungo di utilizzare i medici per la delazione degli stranieri irregolari. Perché, se quella legge fosse stata approvata, sarebbe venuto meno non solo un diritto individuale, ma anche l’interesse della comunità, perché l’irregolare affetto da malattie contagiose avrebbe evitato il controllo medico e le terapie conseguenti (come aveva già iniziato a fare) per svolgere invece il ruolo di untore.
Altrettanto contrasto c’è con il federalismo egoistico aggravato dalla crisi economica attuale: chi avrà i fondi necessari potrà garantire livelli di tutela in linea con la Costituzione, gli altri dovranno sopportare una riduzione delle prestazioni. E la Sardegna vive una condizione peggiorata dalle scelte della Giunta attuale che, appena insediata, ha abolito il tetto di spesa per le strutture private stabilito dalla Giunta precedente, annullando il risanamento economico che ne era conseguito. Lo spostamento della sanità a favore delle strutture private ed il taglio delle prestazioni costituiscono un fenomeno anche nazionale (si veda il libro bianco/verde di Sacconi); è singolare che la crisi economica venga invocata per rendere meno esigibile un diritto fondamentale, ma non per ridimensionare/annullare le annunciate “cattedrali nel deserto” (ponte sullo stretto di Messina, etc.). Che il favorire i privati in sanità produca svantaggi sia economici che di qualità delle prestazioni è documentato da numerosi studi: il più completo di questi, effettuato dall’OMS nel 2000 e incentrato sulla performance dei Servizi Sanitari dei 191 Paesi membri, indica che gli USA, Paese a sanità prevalentemente privata sono di gran lunga il Paese che spende di più, a fronte di una performance complessiva scadente: 37° posto. E la posizione in graduatoria arretra ulteriormente se prendiamo in considerazione solamente il livello di salute, sganciato dall’efficienza: 72° posto. A questi risultati tende il nostro SSN se le scelte governative in materia non invertiranno rapidamente la rotta.
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