Efis Pilleri
Con Decreto del Presidente della Regione n. 69 del 31.5.2010, è stato ricostituito, anche in questa legislatura, il Consiglio Regionale dell’Economia e del Lavoro. L’organismo, composto da 27 membri in rappresentanza delle diverse categorie produttive, ha funzioni consultive in materia di programmazione regionale. In altri termini: un autentico carrozzone, la cui utilità è comprovata dai grandi progressi compiuti dall’economia regionale negli ultimi dieci anni (la legge istitutiva è del 2000).
In questi giorni il Presidente Cappellacci ha convocato la riunione d’insediamento del CREL che, come è nelle migliori tradizioni di questi organismi, non è riuscita a concludere i propri lavori non essendosi raggiunto un accordo per l’elezione del Presidente.
Se si da un’occhiata alla legge istitutiva del CREL si nota lo sforzo di garantire una rappresentanza di tutti i settori produttivi e delle varie forze sociali. La parte del leone la fanno, come sempre, i sindacati, con ben dieci posti riservati alle organizzazioni “aventi configurazione associativa confederale”.
Una previsione che parrebbe addirittura eccessiva essendo in Sardegna le associazioni sindacali recanti tali requisiti in tutto sette. E tuttavia scorrendo il decreto di nomina del carrozzone si scopre che la CGIL incassa tre posti, la CISL altrettanti mentre la UIL si deve accontentare di due non entrando nel conto un suo ex segretario generale, ora in pensione, nominato direttamente dal Consiglio Regionale.
In questo modo rimangono fuori dal CREL due organizzazioni aventi i requisiti, la CONFSAL e la CSS. Quest’ultima è l’unica confederazione sindacale tutta sarda. Un sindacato che da oltre 25 anni opera, tra l’altro, producendo e mettendo a disposizione proposte di sviluppo economico alternative ai modelli rivelatisi fallimentari per la nostra isola.
I contribuenti sardi avranno tuttavia di che rallegrarsi nella consapevolezza che, in tempi di tagli agli sprechi e di scioglimento di enti inutili, la Regione sarda abbia il coraggio di continuare a spendere oltre 250.000 euro all’anno per consentire a qualche decina di “addetti ai lavori” di parlarsi addosso.
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