Il centrosinistra vince, ma in un quadro desolante

16 Giugno 2010
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Andrea Raggio

Ha ragione Francesco Cocco. Il centrosinistra ha vinto alla grande e il centrodestra ha perso di brutto. Questo importante risultato appartiene però a un dato elettorale complessivo quanto meno desolante. E’ una contraddizione che le recenti elezioni amministrative hanno fatto emergere e che non può essere ignorata. Innanzi tutto perché l’astensione ha raggiunto in Sardegna livelli tali da non poter più essere considerata soltanto come una critica ai partiti e un comportamento attendista, o come segno di scarso interesse per l’oggetto della competizione. Quando a Cagliari vota solo un elettore su quattro e in Sardegna uno su tre, come nel caso del ballottaggio, è evidente che nella grande maggioranza dei cittadini sta prevalendo l’idea dell’inutilità del voto. Qui sta il grave pericolo di smottamento della democrazia. Un’idea, purtroppo, non priva di motivazioni. Il Parlamento è “eletto” dalle segreterie dei partiti e, nel caso del PDL, direttamente da Berlusconi ed è da questi dominato anche col sempre più frequente ricorso al voto di fiducia; i Consigli regionali, e anche quelli provinciali e comunali, sono mortificati e messi sotto scacco dal presidenzialismo. L’opposizione, anche quando è elettoralmente robusta, è fortemente condizionata dalla gabbia autoritaria che sta imprigionando il Paese. Tutti invochiamo un’opposizione più combattiva ma non sempre riflettiamo sugli intralci posti alla sua azione dalla degenerazione autoritaria. Nel passato gli elettori sapevano che, nell’improbabilità di andare al governo, irrobustire l’opposizione significava, comunque, maggiore possibilità di incidere sulle grandi scelte politiche e sui comportamenti della maggioranza. Oggi questa possibilità è notevolmente ostacolata e perciò l’opinione di sinistra è costretta a puntare tutto sull’alternativa subito e se questa non appare concretamente realizzabile, attenua l’impegno elettorale. Ora la strategia berlusconiana è chiaramente rivolta, con l’attacco alla libertà di stampa al diritto all’informazione e alla magistratura, a “sfiduciare” la Costituzione al fine di cambiarla o, comunque, di svuotarla per farla apparire inefficace come è avvenuto col voto. Questa strategia, come dicono le vicende di questi giorni, sta occupando anche il campo sociale. Il ricatto operato a Pomigliano dalla Fiat, spalleggiata dal governo, mira a contrapporre il diritto al lavoro al diritto di sciopero e di contrattazione per aprire una nuova dell’offensiva contro la Costituzione, portando l’attacco dai diritti politici a quelli sociali.
L’altro aspetto che emerge dal desolante quadro elettorale è la disgregazione del sistema politico regionale. Alla competizione hanno partecipato complessivamente oltre trenta partiti, spezzoni di partiti o liste personali. Le auto candidature (se non mi candidate, presento una mia lista e vi faccio perdere) hanno spaccato i due maggiori partiti. Il centrosinistra ha recuperato grazie a un grande impegno dei gruppi dirigenti regionali e nazionali. Il centrodestra non ha recuperato e nel ballottaggio a Cagliari il suo candidato ha perso circa la metà dei voti; la spaccatura, dunque, è dovuta non solo a personalismi ma a più consistenti ragioni, legate al giudizio sulla Giunta regionale. I maggiori partiti delle due coalizioni, infine, hanno scarso consenso elettorale. Il PDL rappresenta appena l’otto per cento degli aventi diritto al voto e circa il trenta per cento dei voti conseguiti dalla coalizione di centrodestra; il PD, il primo partito in Sardegna, va un tantino meglio: rappresenta circa il dieci per cento degli aventi diritto al voto e poco meno del cinquanta per cento dei voti conseguiti dai partiti del centrosinistra. Poco per chi pretende di essere il motore della coalizione di governo, poco per chi ha ambisce a guidare l’alternativa.
I partiti e i sindacati sono fortemente impegnati nella lotta contro la crisi economica e sociale e per il lavoro. Ma, domando, è possibile condurre con successo queste lotte senza affrontare contestualmente e con pari vigore la questione democratica e quella del risanamento della politica?

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