Cuore azzurro senza coraggio

15 Giugno 2010
1 Commento


Oliviero Beha

Cuore e coraggio hanno la stessa origine etimologica, perché “coraggio” viene dal francese antico e prende le mosse appunto da cuore. Ma qui, cioè ieri sera, c’è stata una separazione in casa. Azzurra.L’Italia di Lippi ha certamente cuore, e lo ha dimostrato per tutta la partita con il (temibile? Sicuri? O solo “quadrato”?) Paraguay. Non si può dire che non si sia battuta sotto il diluvio di Cape Town, rischiando senza moine le gambe sotto i colpi “paraguagi” di vecchia scaltrezza sudamericana e restituendo mazzate dov’era il caso. Quindi cuore, e i sinonimi grinta, tenacia, agonismo ecc. sono sicuramente tra i fattori messi e visti in campo.Ma il coraggio è un’altra cosa. La divaricazione comincia dal concetto di fondo che per rischiare di vincere, nel calcio come in qualunque sport come nella vita, devi saper rischiare di perdere. Ed è esattamente questo “freno tirato” non nel cuore ripeto né nella coriacità dei giocatori bensì nell’atteggiamento psicologico da tenere che ha ridotto di molto le possibilità di questa squadra.
Che non è mediocre, ma solamente media.Che può come si dice “fare la partita” ma senza rendersi davvero incisiva, che può aspettare gli avversari (non era il caso del Paraguay, tendenzialmente catenacciaro perché un pareggio li avrebbe alla vigilia più che soddisfatti malgrado le rodomontate delle dichiarazioni…) rendendosi pericolosa in contropiede ma non garantendo “saracinesche” in difesa tali da costituire un’ assicurazione contro gli eventi anche sfortunati.Il gol preso da uno che salta in mezzo a Cannavaro e De Rossi impegnati in un “blocco” difensivo sì, ma tra di loro, rende l’idea.
Che cosa intendo per coraggio, distinto dal cuore? Intendo il fatto che dove mancano le qualità fuori dalla media (appunto) quel qualcosa in più te lo dà o te lo dovrebbe dare il coraggio, la voglia di rischiare, il fatto di stringere davvero d’assedio la difesa avversaria, di tirare in porta da qualunque posizione possibile ecc. Per esemplificare per gli addetti, un Di Natale in più e un Marchisio in meno.Ma è un discorso che travalica il calcio, che riguarda il Paese e la politica e la conduzione sociale della nostra profonda crisi. Non basta il cuore, che gli italiani hanno e mettono a disposizione specie nei momenti topici delle tragedie e/o degli eventi particolari: ci vuole il coraggio, perfino il gusto etico ed estetico di rischiare. Di rischiare che cosa? Semplicemente di perdere, sapendo che nel calcio non è una disfatta ma solo una sconfitta se hai giocato per vincere e ti è andata male.Nel resto, nella società italiana, il coraggio non c’è da un pezzo, e in nessuno. Difendono i loro privilegi in alto, galleggiano in basso, e nessuno sembra avere davvero la voglia di dare una svolta coraggiosa a questo Paese. Fino a quando giocheremo per un pareggio? Non è chiaro che nel frattempo sta diventando una sconfitta?

1 commento

  • 1 Bomboi Adriano
    15 Giugno 2010 - 12:35

    Il regime fascista ebbe una grande trovata: fu infatti il governo italiano che per primo intuì il valore del calcio per unire una Nazione di plastica quale era l’Italia (e lo è per molti versi ancora oggi). E così Mussolini non mancò mai in prima persona a tutto l’establishment organizzativo e sportivo dell’epoca. Sempre il regime fascista, fu il primo ad istituire i vari servizi di accompagnamento e sviluppo delle tifoserie: bus navetta, distribuzione di tricolori da sventolare, ecc. C’è ancora un po di fascismo oggi in quell’italietta che si vorrebbe ergere a rappresentanza di una Repubblica che, in realtà, rimane costituita da sensibilità, identità e culture diverse: Come la Sardegna; che nell’ipocrisia generale dimentica il suo ruolo. Forse sarebbe stato più utile un modello statale come il Regno Unito, dove ogni nazione che lo compone ha una sua nazionale calcistica e non c’è solo la Union flag a qualificare i vari team.

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