Francesco Cocco
Che dire del risultato elettorale? Il centrosinistra vince i ballottaggi sia nelle provinciali che nelle comunali. Fa l’en plein. Il centrodestra ne esce bastonato e con le ossa rotte, per le gravi fratture interne. Ma possiamo gioire per questo succeso del centrosinistra nel disinteresse generale?. E’ un’impresa quella di Milia, Deriu e Pilia, caratterizzata da un tasso d’astensionismo mai registrato in Italia? Cosa sono diventate le elezioni senza partecipazione? Un fatto tecnico di individuazione di qualcuno che amministri, senza alcuna scelta di valore? Senza alcuna reale alternativa programmatica? Forse, è proprio vero che, guardando alla fuga dalle urne, e alla sostanziale vacuità di idee e programmi dei diversi candidati oramai non si sà più chi è di destra e chi è di sinistra, anche se - diversamente dalla nota canzone - guardando alla condizione materiale dei lavoratori, e ancor più dei non lavoratori, è possibile dire cosa è di destra e cos’è di sinistra. Leggete cosa ci dice Francesco Cocco nello scritto che segue e vi convincerete che l’esito di queste elezioni, un vero e proprio funerale della democrazia, non consente alcun festeggiamento. Al contrario, mette prepotentemente al primo posto la questione democratica, l’esigenza di salvare la Costituzione non a parole, ma inverando la partecipazione dei lavoratori all’organizzazzione sociale, economica e politica, come dice l’art. 3 della Carta. E rilancia la questione morale come precondizione dell’essere di sinistra e dell’essere democratici. Che tristezza, ci sia consentito l’inciso, leggere l’intervento di Massimo Deiana, pubblicato in questo blog l’altro giorno. Cambiate in quello scritto il nome Milia, metteteci quello di un indagato del centrodestra e avrete la controprova di quanto lo spirito berlusconiano del nostro tempo sia, inconsapevolmente, ma non meno gravemente, penetrato nelle fila perfino dell’intellettualità del centrosinistra.
Questione sociale, lotta per la democrazia e per la moralizzazione della vita pubblica. Ecco il terreno per tornare ad essere di sinistra: sforzarsi di rimettere al centro dell’impegno politico la lotta per la democrazia e l’uguaglianza e, dunque, la partecipazione dei ceti sociali subalterni alla vita dei partiti della sinistra e delle istituzioni. L’intendere la presenza nelle istituzioni come un servizio temporaneo a favore della comunità. L’esatto contrario di quanto accade oggi non solo nel centrodestra. (a.p.)
Questa tornata elettorale rappresenta il punto più basso della partecipazione dei cittadini alla vita politica ed amministrativa della Sardegna. La causa l’abbiamo indicata ripetutamente: manca il tramite per collegare i cittadini alla vita istituzionale del paese. Più esattamente: i cittadini hanno perduto la fiducia nelle organizzazioni politiche e così le istituzioni finiscono per apparire realtà estranee alla vita quotidiana della società. Di qui il pericoloso senso di sfiducia nei confronti dei partiti e delle istituzioni. In questo processo di deterioramento del rapporto società-partiti s’insinua il virus del qualunquismo, e con esso un pericolo mortale per la democrazia.
Oggi più che in passato dobbiamo ribellarci a questo degrado. Ribellarci in tutte le forme democratiche possibili per richiamare i partiti alle loro responsabilità. Chi milita in un’ organizzazione democratica va incoraggiato a non abbandonare la sua postazione di lotta. Chi per sue ragioni è defilato da una diretta militanza non deve per questo dimenticare il suo dovere civile ad un concreto impegno per il superamento delle attuali dirigenze, sempre più simili a camarille di stampo ottocentesco.
Perché i partiti possano assolvere al loro ruolo di bastioni di democrazia occorre che essi tornino sempre più a radicarsi nel territorio. Bisogna però avere chiara consapevolezza che il radicamento non dipende dal numero delle organizzazioni di base operanti nel territorio stesso. Certo il numero è importante ma soprattutto é necessario -come altre volte in passato abbiamo evidenziato- il superamento del modo di essere e di atteggiarsi dei dirigenti nei confronti della militanza di base
Il radicamento dipende soprattutto dalla condivisione da parte dei dirigenti (non solo alla base ma anche ai massimi livelli) della dimensione di vita delle classi sociali alle quali dicono di richiamarsi. E’ difficile che i lavoratori possano trovar sintonia con dirigenti tesi a scimmiottare nel quotidiano modelli propri della grande opulenza capitalistica. Chi fatica a tirare avanti con mille euro al mese difficilmente può essere in sintonia con chi si dimostra interessato agli yacht-club o a seguire quotidianamente i dettami della moda. Sono sedicenti dirigenti che dicono di rifiutare il pauperismo, dimenticando la grande lezione di leaders del movimento operaio come Enrico Berlinguer (il suo richiamo all’ austerità), ed ancor prima Togliatti, Lombardi, Terracini, Nenni (l’elenco coincide con quello di una intera generazione di dirigenti comunisti e socialisti).
Radicare il partito nel territorio non è semplicemente problema di età, di genere, di rappresentanza territoriale. Certo è anche questo ma non basta immettere più trentenni o più donne nei gruppi di comando. Bisogna formare comunità di ideali che sanno farsi comunità di vita. Se non si riesce a realizzare una tale dimensione sarà difficile arrestare la rincorsa verso il precipizio.
5 commenti
1 giovanni
15 Giugno 2010 - 10:29
E’ la conferma di quanto dice il berluschino Farris, a sinistra impera il ‘taffazzismo’, lo fu contro Soru ‘ comunque’, e ci portò Cappellacci, oggi ci avrebbe portato il centro destra in tutta la Sardegna per almeno 10 anni, con i disastri che conosciamo e vediamo. Poichè siamo ‘ i puri’, anche un risultato ‘ comunque ‘ positivo è da considerare deleterio! Perchè non dire ‘ ci è andata bene ‘, pensiamo a gestire bene il futuro e a preparare un partito ‘ onesto’,che stia fra la gente e per la gente! E per favore finiamola con i ‘ grandi discorsi’ di sole parole che nessuno capisce, sono soltanto ……ad uso personale! A sentire voi dovrei vergognarmi di essere andato a votare!!
2 G M P
15 Giugno 2010 - 12:40
molto giuste le parole di Francesco Cocco.
Evitare di esultare (i numeri…), piuttosto lavorare per rinobilitare l’azione amministrativa e politica.
Un azione amministrativa qualificata darà vigore alla nostra oramai esanime democrazia
3 Francesco Cocco
15 Giugno 2010 - 12:57
Ho la vaga impressione che il lettore Giovanni non abbia letto per intero il mio intervento, visto che invito chiaramente a non abbandonare la militanza politica (che implica l’esercizio del voto) ed altrettanto chiaramente invito a non infeudarsi a questo o a quel dirigente ma a militare da uomini liberi. Forse per necessità di sintesi non stato sufficientemente chiaro. Ho l’impressione ci sia un tipo di lettore (categoria alla quale non necessariamente appartiene Giovanni) che rifiuta il dialogo, e così facendo dà il suo contributo a che la sinistra regredisca.
4 Mauro Nieddu
16 Giugno 2010 - 10:59
Quello che dice Giovanni è l’esemplificazione dei fenomeni magistralmente descritti da Francesco Cocco.
L’estraneità di chi è (o si sente) ceto politico rispetto alla dimensione della realtà fa si che il risultato elettorale venga valutato solo in termini di qualche ridotta istituzionale conquistata, e non dal punto di vista del reale impatto sociale. Qui c’è lo scollamento con coloro che la sinistra dovrebbe rappresentare. La domanda è: cosa può cambiare nelle condizioni materiali dei ceti sociali di cui parla Francesco Cocco se a vincere è il centrodestra o il centrosinistra?
La risposta purtroppo è nel 25% di partecipazione al voto.
5 giuseppe
17 Giugno 2010 - 10:21
Ma voi pensate che se avessimo un governo di centro sinistra avremmo avuto le leggi ad personam , una manovra di così palese ingiustizia e i vari tentativi antidemocratici di questo governo? E allora ha in parte ragione Giovanni, questa potrebbe essere l’ultima occasione! Sparirebbe anche quella parte di sinistra che forma quel 25% .Per i camaleonti e per gli ‘ occupa poltrone’ non mi dispiacerebbe!
Lascia un commento