Gianfranco Sabattini
Finalmente un Rapporto realistico, quello presentato dal CRENOS sull’economia della Sardegna per il 2010 il 28 dello scorso mese di maggio. Un Rapporto cioè che ha rinunciato a giustificare o ad “ovattare” lo stato di stagnazione in cui versa l’economia della Sardegna attraverso l’insistente ritornello che la stagnazione delle altre circoscrizioni territoriali di riferimento, in particolare del Mezzogiorno, non è molto diversa o è anche peggiore. Inoltre, si tratta di un Rapporto che utilizza una “banca dati” dell’Istat relativa ai Conti Economici Regionali, che, da quest’anno, consente analisi di più lungo periodo attraverso serie storiche che abbracciano un arco temporale che va dal 1995 al 2008 e costruite secondo metodologie statistiche più avanzate rispetto agli anni passati. Il Rapporto, tuttavia, riporta i valori dei principali macroaggregati riferiti al 2008 ed il loro andamento nell’ultimo quinquennio 2003-2007.
Dalle stime Istat, risulta così che nel 2008 il PIL in Sardegna è stato apri a 27.248 milioni di euro in termini reali, con un incremento rispetto al 1995 del 15%, inferiore di un punto percentuale rispetto a quello del Mezzogiorno e di 3 punti percentuali rispetto a quello dell’intero Paese. In termini pro-capite, la ricchezza prodotta in Sardegna si è attestata nel 2008 intorno ai 16 mila euro, con una variazione media annuale negativa tra il 2004 ed il 2008, a differenza di quanto è accaduto per il Mezzogiorno e per l’intero Paese le cui variazioni medie annuali nello stesso periodo sono risultate leggermente positive.
Oltre che in termini pro-capite, la performance del PIL regionale è stata stimata anche in termini di prodotto per “Unità di lavoro”. I dati evidenziano che, anche per il rapporto PIL/ULA, negli ultimi cinque anni, solo la Sardegna ha mostrato un calo con un tasso di variazione medio annuo pari a -0,26%, contro valori positivi delle altre circoscrizioni territoriali di riferimento, sebbene l’occupazione in Sardegna sia cresciuta più che nelle altre circoscrizioni. Alò riguardo, il Rapporto, però, correlando quest’ultimo risultato con i dati relativi al prodotto per unità di lavoro, sottolinea, correttamente, che la crescita è stata registrata, quasi certamente, in comparti produttivi a bassa produttività.
In sintesi, nell’ultimi quinquennio, la dinamica del PIL regionale è stata sostanzialmente negativa, non solo in termini pro-capite, ma anche in termini di prodotto per unità di lavoro. Tuttavia, il Rapporto sottolinea che i dati relativi ai Conti Economici Regionali dell’Istat riferiti al 2008 sono ancora provvisori, ipotizzando di poter rinviare, quasi per addolcire la pillola sullo “stato fallimentare” dell’economia regionale, il giudizio definitivo sulla “qualità” degli aggregati considerati alla stima definitiva da parte dell’Istat al 2010 dei dati riferiti al 2008. Augurandoci che l’ipotesi prudenziale del Rapporto risponda realmente ad un improbabile miglioramento dello status quo dell’economia regionale, si può solo osservare come i dati puntualmente riportati e commentati dal Rapporto diano sostanza e credibilità alle previsioni che già nel corso del 2009 sono state fatte da diverse agenzie e centri studi accreditati le cui stime revisionali sono a dir poco catastrofiche per la Sardegna.
L’eredità del passato, inoltre, non è stata minimamente scalfita dal fatto che in Sardegna, nell’ultimo quinquennio, in controtendenza rispetto a quanto si è verificato per l’intero Mezzogiorno, gli investimenti pubblici abbiano registrato una variazione media annua positiva pari a +2,8%. Ciononostante, il Rapporto sottolinea che il ruolo positivo svolto dalla parte pubblica nel processo di accumulazione del capitale, non ha avuto, come vorrebbe la teoria economica, un’influenza positiva sull’andamento del PIL.
Fortemente correlato con quanto sinora è stato descritto è risultato, conseguentemente, l’indicatore dell’incidenza della povertà, esprimente la percentuale di famiglie povere sul totale delle famiglie residenti, calcolata sulla base di una soglia convenzionale, detta linea di povertà, esprimente il valore della spesa per consumi al di sotto della quale una famiglia è definita povera in termini relativi. La soglia per una famiglia di due componenti nel 2008 è stata stimata dall’Istat pari ad una spesa media mensile per persona di 999,67 euro. La Sardegna, nel 2008, è risultata, con un’incidenza di povertà del 19,4%, inserita nel novero delle regioni, prevalentemente meridionali, che hanno accusato l’incidenza più alta, con la particolarità di essere stata la regione con l’incremento più alto dal 2004 (+4%).
Anche la composizione percentuale dell’andamento nell’ultimo quinquennio del valore aggiunto totale per settore di attività economica e per unità di lavoro conferma la performance negativa del sistema economico regionale descritta precedentemente, evidenziando una maggior crescita per i rami di attività tradizionali a basso valore aggiunto ed un rallentamento per i rami di attività produttivi di servizi avanzati. Ovviamente, questa situazione si è ripercossa sul grado di apertura del sistema economico regionale verso i mercati esterni all’Isola. Sebbene l’incidenza del valore delle esportazioni sul PIL regionale sia aumentato considerevolmente nell’ultimo quinquennio, il fenomeno non ha avuto ricadute positive sull’aumento della competitività delle attività produttive regionali, in quanto gli incrementi hanno riguardato i rami di attività tradizionali e non quelli tecnologicamente avanzati, con in testa i soliti rami di attività dei prodotti petroliferi raffinati e dei combustibili nucleari, i quali che hanno svettato sui restanti rami di attività con una variazione riferita all’ultimo quinquennio del 63,8%. Gli altri rami di attività, infatti, hanno tutti rappresentato una quota esigua della variazione che le esportazioni regionali complessive hanno registrato nell’ultimo quinquennio.
Se a quanto sinora descritto si aggiungono le considerazioni conclusive del Rapporto, relativamente al divario accusato dalla Sardegna rispetto all’intero Paese ed alle regioni dell’Europa comunitaria, in fatto di dotazioni infrastrutturali, di attività di ricerca e innovazione e di capitale umano si capisce quanto poco probabile sia la possibilità di un rilancio nel breve periodo della crescita e dello sviluppo regionali. Su questo punto decisivo per il futuro dell’Isola, il Rapporto CRENOS si limita a raccomandare all’Amministrazione regionale di fare tutto ciò che è ”compreso nella sua sfera di potere per designare opportuni schemi di incentivi agli investimenti” necessari per il potenziamento delle dotazioni delle quali l’Isola è carente. Sarebbe ora, tuttavia, che il Rapporto, come da tempo si va sostenendo, passasse dalla sola descrizione dello status quo del sistema economico sardo e dalle semplici ed innocue raccomandazioni ad una società politica che da sessant’anni non è mai stata propensa ad accoglierle anche ad un’analisi delle carenze dei suoi documenti programmatici e all’indicazione delle linee di policy più convenienti per il sicuro rilancio della crescita e dello sviluppo della Sardegna.
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