Andrea Pubusa
Che la riservatezza sia un diritto costituzionale è fuor di dubbio. Non è espressamente disciplinata, ma si desume certamente da diverse disposizioni della Carta: il segreto epistolare, la libertà personale e di domicilio. Ma il diritto d’informare e di essere informati sono espressamente previsti. C’è una norma apposita, l’art. 21, che praticamante vieta qualunque censura, ossia ogni limitazione preventiva al diritto d’informazione, lasciando al dopo la repressione degli abusi, solo nei casi lesgislativamente previsti.
Basterebbe questa diversa considerazione della Costituzione verso riservatezza e diritto d’informazione per dire che quest’ultimo prevale sul primo. Ma c’è una ragione più di fondo, di carattere ordinamentale, che depone per la prevalenza dell’art. 21. E’ la considerazione che la libertà d’informazione è uno degli strumenti fondamentali per inverare il carattere democratico della Repubblica, che è l’elemento centrale del nostro ordinamento secondo la Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica…” recita il maestoso incipit della nostra Carta fondamentale. La democrazia non può fare a meno di una libera stampa, del formarsi di una genuina opinione pubblica. La riservatezza, invece, è pur esso un diritto costituzionale importante, ma è finalizzato a proteggere un interesse individuale, che per quanto rillevante e meritevole di tutela, non può condizionare e limitare la libera circolazione delle notizie e l’autonomo formarsi dell’opinione pubblica.
La legge sulle intercettazioni, nel sanzionare editori e giornalisti, ha anche una innaturale pretesa: togliere ai segugi l’istinto a scovare la preda per il cacciatore. Ed infatti cos’è se non un’innaturale pretesa quella di togliere al giornalista il gusto del ricercare e lanciare la notizia? Altra cosa è vietare la divulgazione delle intercettazioni o degli atti istruttori, che, tuttavia, si badi, non è stata mai prevista nell’interesse privato (riservatezza o altro) ma in quello pubblico della speditezza ed efficacia delle indagini.
Infine, come negare la connessione fra il disegno di legge antintercettazioni e contro la libertà d’informazione e lo sprofondamento nella melma del malaffare dell’attuale maggioranza. E si badi, tutto ruota, sulla compressione della trasparenza, della visibilità dell’azione pubblica. Si pensi alla deroga in materia d’appalti sulla protezione civile e sui grandi eventi. Col pretesto della celerità delle opere si bandisce il sistema delle pubbliche gare. E sappiamo come sono andate le cose.
A ben guardare, in tutte queste vicende, ciò che si vuol combattere è la possibilità di un controllo istituzionale e sociale sui poteri forti, siano essi di natura politica o di natura malavitosa, favorendo una miscela pericolosa per la democrazia, che trova nell’oscurità il suo asse portante.
1 commento
1 aldo lobina
23 Maggio 2010 - 17:40
Nel tempo mi sono fatto un’idea dei poteri forti e della politica. Sempre di più osservo che la seconda assume un ruolo ancillare rispetto ai primi, i quali condizionano pesantemente i cospicui movimenti di denaro pubblico. E non solo: i poteri forti sono in grado di orientare la scelta stessa di chi deve vigilare che l’interesse generale sia difeso; i poteri forti probabilmente dettano molte candidature all’interno dei partiti. Oggi anche in quelli afferenti al centro sinistra forse.Altrimenti non capirei certe forzature.La posta è grande in questo gioco e noi, gente comune, siamo spettatori delle malversazioni più oscene. Ora con questo disegno di legge vengono creati i preupposti perché da spettatori consapevoli ci trasformiamo in vittime inconsapevoli. Sono buoni loro! Ci tolgono la pena di vedere quello che fanno e soprattutto come lo fanno. Un po’ come chi esegue una condanna capitale e mettepietosamente la benda ai condannati . In altre culture è il boia che si mette un cappuccio. Qui in Italia sono così sfrontati che lavorano open air, al più un grembiulino casto ne protegge gli attributi.
A noi la benda e il fumo negli occhi. A loro il potere… di nuocere a questa Repubblica.
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