Francesco Cocco
Avrei voluto anch’io limitarmi, come fa con acute osservazioni Franco Mannoni, ad un semplice commento dell’articolo di Gianfranco Sabattini. Ma siamo in presenza di un’ importante “provocazione culturale” ed un vecchio militante di sinistra ha il dovere di andare oltre il semplice commento. ”Provocazione culturale” in senso positivo sia perla ricchezza di argomentazioni e la dottrina di cui ha visibile padronanza, sia perché, in ultima istanza, avverte la necessità che la sinistra si metta a squadra, posto che da 20 anni è in bilico ed ha urgente bisogno di un “nuovo paradigma identitario”.
Francamente a me le posizioni richiamate fanno venire in mente la “fine della storia” tanto favoleggiata alla caduta del muro di Berlino, quando sostanzialmente si teorizzava un mondo pacificato sotto l’egida americana. E quanto il mondo si sia poco pacificato nell’ultimo ventennio é sotto gli occhi di tutti. Anche perché da parte degli Stati Uniti la disponibilità a venire incontro alle esigenze planetarie del tempo presente sembra proprio essere scarsa. Per tutte valga la vicenda della mancata approvazione degli accordi sull’ambiente.
La ricca elaborazione dottrinaria richiamata da G. Sabattini mi pare proprio muoversi sull’onda lunga della bella favola del mondo pacificato giunto “alla fine della storia”. Per altro verso richiamare queste elaborazioni non è certo esercizio inutile, anche solo per verificare l’elaborazione di un pensiero egemone di stampo sostanzialmente capitalistico. Con buona pace della fine delle ideologie !
Superare la conflittualità pensando di sostituirla con la “cooperazione” e ricorrendo alla “giustizia distributiva” ai diversi livelli, da quello internazionale a quello nazionale e territoriale, è una bella utopia da non respingere a priori e da perseguire quando possibile. Ma l’amara realtà è che cooperazione e giustizia distributiva sono punti di equilibrio provvisori ai quali si approda dopo laceranti conflitti tra Stati, classi, territori. Ne sono un chiaro esempio gli accordi monetari che negli anni Quaranta del secolo scorso sancirono il dominio finanziario statunitense. Essi furono essenzialmente frutto della Seconda Guerra Mondiale, e alla fine hanno contribuito a regalarci in non piccola misura la precarietà finanziaria di oggi.
Non vi è dubbio che la sinistra debba operare una “reinvenzione delle idee preesistenti”, cioè aggiornarle, prendere atto dei mutamenti ma con chiara consapevolezza di un proprio patrimonio di valori e di elaborazioni. La via da seguire non è ignorare la base dei rapporti di forza su cui si fondano i processi produttivi, tra chi detiene i mezzi di produzione e chi è sostanzialmente escluso dai meccanismi decisionali. Questa è la realtà e la sinistra deve tornare urgentemente alla realtà.
Tutto ciò significa rifuggire dalla utopia schematica che caratterizzò gran parte della sinistra per quasi tutto il Novecento (il metastorico modello del “paese guida” e del capo-carismatico), ma è egualmente utopico perseguire un modello fondato sul “coordinamento degli interessi” in cui l’agnello convive pacificamente col lupo diventato rispettoso “della dignità umana” (ovvero,secondo la metafora, di quella del povero agnello).
Viviamo in una fase storica in cui quelle esposte nello stimolante saggio di Sabattini sembrano essere le idee atte a garantire il futuro della sinistra, tranne poi verificare che al massimo la sinistra si trasforma “nella sinistra della destra” o in un ridicolo folclore politico in cui si crede di evitare il tracollo con una visione feticistica dei simboli: “tornare alle falce e martello” come se essi fossero l’aglio che allontana il vampiro assetato di sangue.
La sinistra rifletta sul proprio cammino, su una storia di lacerazioni interne solo in parte giustificabile 90 anni or sono ma oggi priva di sostanziale significato. Riprenda la via della coerenza dei comportamenti che rendano le proprie rappresentanze e dirigenze omogenee ai ceti sociali di riferimento. Rifiuti le vie dell’affarismo. Non abbia paura di essere anche utopia, ponendo il problema delle grandi strategie per affrontare i drammatici problemi del tempo presente. In fondo socialismo e comunismo, per i classici del marxismo, erano non già un modello definito di società (questo era nella fase “infantile” della storia del movimento operaio, ed in quella dell’utopia schematica riferibile essenzialmente alla vulgata staliniana), ma essenzialmente la soluzione di contraddizioni storiche. E nel concreto sappia operare ispirandosi ad interessi generali senza chiudersi in egoismi corporativi e di ceto.
La sinistra, se vuole uscire dal pantano e dalla regressione, sappia vivere con coerenza le proprie idealità senza sacrificarle ad accordi di potere di piccolo cabotaggio. A tal proposito, sto ancora aspettando che un dirigente della sinistra, segnatamente di quella dei partiti che dicono di richiamarsi al comunismo, mi spieghi perché il “conflitto d’interessi” è una porcata quando è disciplinato dalla Legge Frattini e diventa un valore quando a disciplinarlo in maniera ancora più vergognosa è la “legge statutaria” sulla quale il popolo sardo ha espresso il suo giudizio negativo nell’ottobre 2007. Allora non ci si lamenti se il proprio elettorato alla fine è frastornato e finisce per scegliere la via della difesa corporativa. C’è da chiedersi “che sinistra è mai questa!?”.
1 commento
1 Gaibfranco Sabattini
20 Giugno 2008 - 13:08
Ho letto con interesse le osservazioni sul mio contributo alla discussione su come rifondare il pensiero della Sinistra di Francesco Cocco. Mi hanno particolemente interessato due sue critiche; data la loro importanza, risponderò, se mi sarà consentito, con un ulteriore contributo nei prossimi giorni.
Lascia un commento