Rock & servizi segreti: ovvero musica vs. potere

9 Maggio 2010
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Gianluca Scroccu

Secondo l’antiterrorismo, evidentemente pieno di pregiudizi nei confronti di un grandissimo poeta della nostra canzone, Fabrizio De André aveva acquistato nel 1976 i terreni sui cui sarebbe sorta l’Agnata per istituire “una comune extraparlamentare”. C’è anche l’autore della Guerra di Piero , unico caso di artista non americano, nel bel libro sullo spionaggio contro le star del rock scritto da Mimmo Franzinelli ed intitolato Rock & servizi segreti. Musicisti sotto tiro: Da Pete Seeger a Jimi Hendrix a Fabrizio De André (Bollati Boringhieri, pagine 265, euro 16).
Autore di importanti volumi sulla storia del fascismo e dell’antifascismo, Franzinelli ci porta con questo suo lavoro, supportato da un approfondito scavo negli archivi americani oggi visionabili a differenza di quanto accade per i fondi italiani, in un mondo affascinante e suggestivo che negli anni Sessanta e Settanta si impresse come un marchio indelebile su milioni di giovani di tutto il mondo suscitando paure e diffidenze nei servizi segreti che non esitarono nell’investigare su quegli artisti che rischiavano, con le loro ballate e gli assoli delle loro chitarre elettriche, di minare l’ordine costituito. Fascicoli e memorandum riempirono gli scaffali di Cia e Fbi segnalando, spesso in maniera goffa e contraddittoria, tendenze, manie e dichiarazioni di folk singer e rockstar.
Nelle pagine del libro scorrono rapide e in maniera sempre efficace e coinvolgente le storie di vere e proprie leggende come Pete Seeger, considerato un comunista e un cospiratore ma a cui l’anno scorso è stato assegnato l’onore di aprire il concerto in occasione dell’insediamento alla Casa Bianca di Barack Obama, passando per Phil Ochs, che per i pedinamenti e le ossessioni derivanti dalla paura di essere spiato entrò in uno stato di depressione e di alcolismo che lo condusse al suicidio a soli trentasei anni, o ancora la forza delle canzoni pacifiste di Joan Baez, la genialità antisistema di Frank Zappa, l’irrequietezza di Jimi Hendrix magnificamente espressa dalla personale reinterpretazione dell’inno americano a Woodstock, sino ad arrivare alla decadenza di Jim Morrison, considerato dall’Fbi un vero delinquente, e alle battaglie contro la guerra di John Lennon.
Sono questi e altri artisti che alimentarono le marce contro la guerra in Vietnam sulle note di We Shall Overcome , denunciando nei loro testi la discriminazione razziale e la segregazione contro i neri e attaccando i valori della società americana con l’esaltazione della controcultura, della libertà sessuale e l’uso delle droghe.
Tutte cose che ossessionarono il padre-padrone dell’Fbi, Edgar Hoover, che vi vedeva i segnali evidenti di una degenerazione pilotata da Mosca e destinata a mettere i crisi i fondamenti della nazione americana. Una convinzione ben presente anche in Richard Nixon e nel suo vice Spiro Agnew, entrambi costretti poi ad ingloriose dimissioni, ma anche in un attore di secondo piano allora appena eletto governatore della California, Ronald Reagan. Diverso invece l’atteggiamento verso Elvis Presley, ricevuto alla Casa Bianca nel 1970 perché particolarmente critico nei confronti dei suoi colleghi impegnati e dei loro atteggiamenti lascivi, giudizi peraltro poco coerenti da parte di un artista dedito al consumo di cocaina.
Un rapporto difficile, quello tra musica e politica, che dagli anni Sessanta è arrivato sino al Duemila, quando contro il presidente americano George W. Bush presero posizione artisti come Bruce Springsteen, Rem e Pearl Jam, a testimoniare la vitalità della passione civile di musicisti capaci con i loro testi di ispirare autentici sentimenti di cambiamento della società.

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