Soru-Cappellacci: diversi presidenzialismi, stesso fallimento

5 Maggio 2010
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Andrea Raggio

E’ passato un anno da quando Ugo Cappellacci ha ricevuto in eredità da Renato Soru il presidenzialismo. Poco tempo per tentare un confronto compiuto tra il presidenzialismo forte del primo e quello debole del secondo, tuttavia sufficiente per avvertire che non emergono segnali di differenze sostanziali e che gli effetti negativi di questa forma di governo non sono smentiti e neppure attenuati. Si ha, anzi, la conferma che quello introdotto nell’ordinamento regionale e nello Statuto sardo con la revisione del 2001 del Titolo V della Costituzione è il “presidenzialismo più autoritario che ci sia, perché sottratto a qualsiasi controllo, a qualsiasi sistema di pesi e contrappesi” (Galli della Loggia).
L’obiettivo dichiarato della riforma era garantire la stabilità politica. Ebbene, con la gestione Soru la legislatura regionale, per la prima volta nella storia dell’Autonomia, è stata interrota prima della scadenza naturale. Con la gestione Cappellacci le cose non sembrano avviate per il meglio: con quattro assessori sostituiti in appena un anno, il turnover nell’attuale Giunta ha già raggiunto il livello della precedente. C’è stato persino un caso di dimissioni momentanee e concordate: un assessore ha lasciato l’incarico per qualche mese perché altrimenti impegnato e ha preteso, ottenendola, la riserva della poltrona. Ieri era il Presidente Soru a movimentare con piglio autoritario l’andirivieni degli assessori, oggi sono personaggi potenti, a Cagliari e a Roma, e il Presidente Cappellacci si limita a registrarlo. Nella maggioranza di centrosinistra la conflittualità era alimentata dall’insofferenza verso i metodi autoritari del Presidente, in questa di centrodestra è provocata dalla sua stessa eterogeneità, dal cosiddetto “cagliaricentrismo” e dalla diffusa insoddisfazione verso l’operato della Giunta. Il presidenzialismo duro pretendeva di fare riforme senza consenso, sottovalutando la drammatica crisi economica e sociale. Il presidenzialismo debole è come frastornato dall’emergenza, disorientato dall’inconcludenza del Governo “amico” e incapace di indicare uno sbocco della situazione che guardi al futuro. Il fatto è che la risposta alla crisi può venire solo da una politica che saldi emergenza e sviluppo, ma su questa strada si può avanzare solo con una forte partecipazione sociale e politica. La riforma dello Statuto sempre invocata è, infine, sempre al palo.
Nella gestione Cappellacci una novità sgradevole è costituita dalla accresciuta influenza dei gruppi affaristici e di potere, in specie cagliaritani, sulla politica regionale. Il presidenzialismo debole, perciò, è solo apparentemente tale. L’altro aspetto da sottolineare con preoccupazione riguarda il rapporto tra forma di governo e forma di Regione. Impregnata di presidenzialismo, la Regione Autonoma della Sardegna sarda sta mutando natura, da Istituzione di autogoverno a mera dipendenza del governo centrale; la mortificazione dell’Autonomia è accentuata dalla scelta “Regione amica del Governo amico” ostentata dalla maggioranza di centrodestra.
Il presidenzialismo, in conclusione, ha condizionato e condiziona la politica regionale al punto da concorrere a provocarne l’asfissia. Per ridare respiro alla politica e vitalità democratica all’Istituzione è indispensabile e urgente eliminare la catena che lega le sorti del Consiglio a quelle del presidente della Giunta, restituendo all’Assemblea il potere di decidere gli orientamenti della politica regionale e di controllarne l’attuazione. E’ tempo che la sinistra, tutta la sinistra, si impegni in questo senso.

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