Francesco Cocco
Il bello e stimolante lavoro di Paola Fadda “L’uomo di Montevecchio”, Ed. Delfino, ricostruisce la vita del più importante imprenditore sardo dell’Ottocento. Di qui una particolare rilevanza nell’odierno panorama economico e culturale sardo. Questo per due motivi. Innanzitutto illumina la pagina più significativa nella costruzione dell’industria mineraria sarda all’indomani dell’ Unità d’Italia. Poi fa giustizia di una diffusa quanto erronea concezione ancora dominante: la mancanza di spirito imprenditoriale dei Sardi.
La costruzione della grande azienda mineraria di Montevecchio, in attività dal 1850 sino ai primi anni ’80 del Novecento, quindi per oltre un secolo, vide Giovanni Antonio Sanna impegnato in un’indefessa attività per reperire i capitali necessari alla coltivazione di quei giacimenti. Poi per difendere la sua realizzazione dalle pretese di un sacerdote, predi Pischedda, più attento agli affari che alla cura delle anime. Infine per sottrarla alla cupidigia dei generi che miravano ad impossessarsi di quel tesoro, ricorrendo nel caso del Guerrazzi anche alla violenza fisica nei confronti del suocero. Paolo Fadda racconta la vita avventurosa del Sanna che si difende dagli intrighi e riesce a realizzare una delle più grandi aziende produttive italiane del tempo.
Sanna fu anche un politico legato, ad Asproni e a Mazzini, deputato al Parlamento subalpino ed italiano, editore, giornalista, polemista di rara efficacia. Fu anche un appassionato d’arte, ed a questa sua passione si deve la creazione dell’omonimo museo nazionale di Sassari, sua città natale.
Il lavoro di Paolo Fadda non è solo la biografia di un grande sardo ed italiano, purtroppo sconosciuto ai più. E’ anche occasione di riflessione, come prima sottolineato, sullo spirito imprenditoriale dei sardi. Sanna dimostra con la sua attività che l’imprenditorialità non è estranea ai sardi. Questo però non ci deve impedire di riflettere su certo nostro modo di essere, che bisogna tener ben presente se vogliamo superarlo in positivo.
Anche Giovanni Antonio Sanna, ci ricorda l’autore, avrebbe voluto una Sardegna più capace d’iniziativa imprenditoriale. Ma se non vogliamo considerar questi limiti indissolubilmente legati alla natura dei sardi, dobbiamo chiederci da dove essi vengono. Non dobbiamo dimenticare che nella nostra isola la fine del feudalesimo avviene solo nel 1836-38, la formazione della proprietà perfetta è del 1821 con la legge sulle chiudende, quando cioè Milano aveva una borsa valori già da 13 anni.
Avevamo un sistema di uso della terra di tipo comunitario che comportava una forma di controllo reciproco per realizzare la parità nella fruizione del bene comune. Il sistema degli ademprivi , che poi darà vita con la instaurazione del dominio spagnolo al paberile ed al vidazzone, era un sistema produttivo vecchio di secoli , ancor prima della civiltà giudicale.
Negli anni ‘80 dell’ Ottocento (cioè qualche anno dopo la morte del Sanna, avvenuta nel ‘75) c’erano state le sollevazioni per il ritorno a su connotu . Bisogna quindi comprendere che per estinguere, a livello di coscienza diffusa, certe categorie mentali occorrono molte generazioni. Questo perché i valori sociali e culturali, capaci di farsi tessuto economico, necessitano di un’adeguata azione politica. E certamente anche su questo piano l’opera del Sanna è stata di particolare rilievo.
1 commento
1 Fernando Lampis
22 Luglio 2010 - 22:40
L’UOMO DI MONTEVECCHIO
Un’0pera che si legge tutta d’un fiato e che mi trova in pieno accordo con i contenuti di cui sopra sottoscritti dall’Onorevole Francesco Cocco.
Un libro che fa onore ai sardi e a chi lo ha scritto.
Un invito a leggerlo!.
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