Davigo a Cagliari: una serata particolare

17 Aprile 2010
2 Commenti


Andrea Pubusa

Grande partecipazione. Sala strapiena in platea e nella loggia del teatro di S. Eulalia a Marina. Nel silenzio il suono armonico e incisivo dei primi tre articoli della Costituzione, letti da Mario Faticoni, fanno rabbrividire. Gli articoli 101 e 108 sull’indipendenza della magistratura da ogni potere evocano le garanzie che la Costituzione ci offre, prima fra tutte quella giurisdizionale, che ha il suo perno nella terzietà del giudice e nell’indipendenza dell’ordine giudiziario. E Davigo è incisivo ed efficace nel ricordarci che è il giudice terzo il presidio dei nostri diritti. Non solo, ma - soggiungo - è anche la condizione per l’esistenza dell’avvocatura libera, perché non può esistere difesa se chi giudica non è del tutto indifferente agli interessi in gioco nel processo e non ha come unico scopo quello di accertare i fatti e applicare le norme, generali ed astratte, al caso concreto.
Di fronte ad una platea di operatori del diritto, giudici, avvocati, e di semplici cittadini, Davigo ci conduce con un’amara ironia ai guai del nostro tempo: un’ordine giudiziario sotto attacco non perché non fa il suo dovere ma perché lo fa, come ricorda anche Francesco Sitzia, storico presidente del Comitato per la difesa della Costituzione. In effetti, la distinzione delle carriere fra pubblici ministeri e giudici non è un male in sé, lo è se - come vuole l’attuale maggioranza di governo - è finalizzata a porre i primi alle dipendenze dell’esecutivo. V’immaginate i pubblici ministeri sotto l’ala di Berlusconi? Ma sotto qualsiasi maggioranza la fuoriuscita dei PM dall’alveo dell’ordine giudiziario e dalla cultura della indipendenza sarebbe un colpo mortale all’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Pensate che ne guadagnerebbero i potenti o i comuni mortali da questa “riforma”? Come ben ha detto Davigo, quell’eguaglianza ha le sue radici nell’indipendenza di chi esercita l’azione penale e perfino nell’attività d’indagine della polizia giudiziaria, che, non a caso, secondo la Carta, dipende solo dall’autorità giudiziaria.
Molti gli interventi. L’Associazione Art. 21 sull’importanza della libera informazione anche nel campo giudiziario. Carlo Dore jr. ha brillantemente tratteggiato il percorso del Cavaliere che, come il Don Bastiano di Monicelli, si autoassolve con le leggi ad personam, dal lodo Alfano al legittimo impedimento, una legge “a illegittimità costituzionale autocertificata”! Ma qui occorre avere consapevolezza della tattica di Berlusconi che - come sottolineea Gianna Lai del Cidi - ormai aggira la Consulta con l’adozione continua di leggi che, con qualche variante, lo affrancano  dalla giurisdizione penale. Disegno organico di infrazione della Costituzione che solo il Presidente della Repubblica potrebbe spezzare, mettendosi di traverso, conclamandone, in ragione della sua reiterazione, l’illiceità penale e costituzionale. Ma Napolitano i lodi li firma tutti, subendo e facendoci subire una violazione permanente della Carta.
Antonello Murgia, medico, vera anima del Comitato in difesa della Costituzione, mette in luce la compressione da parte del centro-destra dei diritti sociali fondamentali, a partire dalla salute per giungere all’attacco al mondo del lavoro e al diritto al lavoro. E a chi chiede se non sia bene impedire per legge ai magistrati di candidarsi, Davigo ricorda la miseria di questa maggioranza che vuole impedire a specchiati magistrati di andare in Parlamento aprendo le porte, con le nomine dall’alto, a pregiudicati e indagati d’ogni risma!
Una bella serata, di quelle che ti danno speranza. Reticente tuttavia su un punto centrale: sull’amminiistrazione della giustizia da parte dei PM e dei giudici. Difendere la giurisdizione e la sua indipendenza è un dovere sacrosanto per ogni democratico, ma non si possono chiudere gli occhi sul lassismo e sulla sciatteria di molti magistrati. Le migliaia di cittadini che ogni giorno affollano i palazzi di giustizia nel Paese sono in larga misura nuove reclute dell’esercito antigiudici del Cavaliere. Ma se è così, una ragione pur ci dev’essere. Perché non chiederselo? Perché non aprire autonomamente un fronte interno di lotta per una “giustizia giusta”? In questi dibattiti parliamo delle eccellenze della magistratura e sono tante, talora eroiche (ricordiamo la lotta al terrorismo e alle mafie). Su di esse, sulla loro autonomia intellettuale e culturale al pari di quella dei docenti delle nostre scuole, di ogni ordine e grado, si regge il Paese (non a caso questo incontro è stato organizzato, oltre che dal Comitato in difesa della Costituzione, dall’Ass. naz. magistrati e dal Cidi - docenti democratici), ma ampi settori della magistratura intendono il loro lavoro come una sine cura e si fanno scudo dell’indipendenza per manifestare la loro arroganza. Bisognerebbe parlare anche di questo. Perché questi cattivi giudici sono gli alleati più efficaci del Cavaliere nella sua lotta contro la Magistratura e per la sua impunità.

2 commenti

  • 1 antonio degiudici
    18 Aprile 2010 - 11:35

    “ampi settori della magistratura intendono il loro lavoro come una sine cura e si fanno scudo dell’indipendenza per manifestare la loro arroganza.”..professore parliamo di questo per favore non dica che sono dalla parte del Cavaliere…la magistratura è indipendente ed a volte un pò pigra…mi chiedo sempre cosa “c’azzecca” la magistratura con le correnti politiche…I veri Magistrati devono rimanere indipendenti così pure i docenti universitari non dovrebbero parlare di politica a lezione.

  • 2 admin
    19 Aprile 2010 - 04:07

    Facciamo politica sempre, diceva uno che ne capiva, anche quando mangiamo. Chi dice di non farne, come lei, in realtà la fa surrettiziamente. Non esiste impostazione culturale esente da una ispirazione politica.
    Questo vale anche per i magistrati, Il problema non è avere idee politiche, che equivale a non avere idee tout court, è scongiurare ch’esse si organizzino in forme correntizie paralizzanti o si tarducano in propaganda settaria, Ma nell’articolo si parlava della scarsa operosità e dell’arroganza di non pochi magistrati. La particoclarità è che costoro solitamente si autodefiniscono “apolitici”. (A.P.)

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