Cristian Ribichesu
Il 6 aprile la Nuova Sardegna ha segnalato il sensibile calo degli iscritti nelle facoltà di Cagliari e Sassari. “Un calo medio del 13% d’iscritti negli atenei sardi, da 52.553 a 49.315, 3.238 in meno dell’anno scorso.”, “In totale -1.962 studenti a Sassari, il 16,7%, con 660 in meno al 1º anno rispetto al 2008-2009. E -1.376 a Cagliari, il 9,3%, -711 nel 1º anno. Un fenomeno più accentuato che a livello nazionale.”
Sicuramente la crisi economica ha colpito tutta l’Italia, e in molte facoltà nazionali sono diminuiti gli iscritti, ma per le nostre, come evidenziato nell’articolo della Nuova, i dati indicano un “fenomeno più accentuato”, che non sarebbe corretto non ricondurre anche alla “riforma” della scuola e alle politiche locali attuate contro l’abbandono scolastico. I dati ci dicono, infatti, che mentre in Italia gli iscritti nella scuola pubblica sono passati da 7.768.506 del 2008/2009 a 7.805.947 del 2009/2010, con un aumento di 37.441 alunni, in Sardegna invece sono diminuiti, ma con un andamento differente fra le scuole elementari e quelle medie e superiori. Da noi, infatti, gli iscritti sono aumentati nelle scuole dell’infanzia e primarie, + 657 alunni, subendo un calo nelle medie e superiori, - 1.195, con un andamento negativo indicante la riduzione totale di 538 alunni, da 220.311 del 2008/2009 a 219.773 del 2009/2010, ma proprio per il fenomeno dell’abbandono scolastico, che si manifesta nelle classi terze della scuola media e sin dal primo anno delle superiori. Ovviamente, se anche per l’Istat risultava che la Sardegna, dall’andamento dell’anno scolastico 2006/2007, era, insieme alla Campania, la Puglia, la Sicilia e Basilicata, fra le regioni con la più alta percentuale di abbandono scolastico nelle scuole secondarie, gradualmente crescente dal 2003/2004, e addirittura la seconda regione d’Italia, considerando l’abbandono alla fine del primo anno delle superiori, nel 2006/2007, con un tasso del 15,2%, logicamente ci si doveva aspettare che senza delle misure appropriate, nel passare di tre o quattro anni, gli effetti nel 2010 si sarebbero ripercorsi sul numero degli iscritti all’Università. Evidentemente, come evidenziato da diversi studi sul sistema, la formula dei progetti regionali per i recuperi serali, dove gli alunni non sono obbligati a partecipare, per numerosi motivi, anche legati al normale calo fisiologico individuale, dalla mattina alla sera, non è efficace contro la dispersione scolastica, e sull’indice negativo avrà influito in misura considerevole anche una diminuzione dei lavori individuali fra docenti e alunni, per la riduzione del numero dei docenti di 1.928 unità, e solo per lo scorso anno, ma già in essere dal 2008, e un incremento di + 0,43 alunni per sezione in base all’aumento degli alunni per classe, che nelle zone urbane arrivano anche fino a 27 o 30 scolari per aula.
Le diminuzioni degli iscritti nell’Università sarde quindi non possono essere scisse dai danni che hanno origine nella scuola pubblica: da una parte l’attacco diretto, appunto alla scuola, che così non diminuisce il tasso di abbandono scolastico; dall’altra un inesistente rapporto scuola-lavoro, fin dalle superiori, e la mancanza di una politica economica che, per riqualificare il lavoro in Sardegna (vedi industrie) e creare nuova occupazione, dovrebbe investire in ricerca, istruzione e ambiente. Ma ritornando al primo punto, l’attacco alla scuola, si deduce che con il depotenziamento delle medie e l’incentivazione di enti di formazione professionale, oltre che con l’apprendistato, pochi andranno ai licei e continueranno negli studi universitari, e molti termineranno l’obbligo formativo a 15 anni. Questo sistema diminuirà il numero degli iscritti nelle Università di Cagliari e Sassari, e immancabilmente comporterà ricadute negative, oltre che sociali, per l’economia isolana.
Ma immaginiamo, inoltre, anche l’effetto che possa avere generato la “riforma” negli studenti dell’ultimo anno delle superiori, vedendo che molti loro insegnanti, i più giovani, laureati, specializzati e vincitori di concorso, si trovano in una situazione di precariato, tagliati o ridotti a lavorare con il ritardato pagamento dei loro stipendi, e spesso per poche centinaia di euro, e con il Governo e il Ministro all’Istruzione che sminuiscono l’operato dei docenti, additandoli spesso come fannulloni e, addirittura, decidendo il licenziamento dei più giovani, seppure questi siano vincitori di concorsi e scuole di specializzazione finalizzati all’inserimento in ruolo. Infatti il Governo ha attuato un documento di programmazione economica e finanziaria che ha avuto una ripercussione dal valore retroattivo nei confronti degli insegnanti che servono per il normale ricambio generazionale della classe docente. Una decisione socio economica criticabile che non può generare negli alunni delle superiori la voglia di andare all’Università per costruirsi un futuro, dato che è sempre più incerto per chi ha già compiuto quegli stessi studi.
Certamente le cause della riduzione degli iscritti nelle facoltà sono tante, e sicuramente sarebbe importante che sia l’Università a creare un collegamento fra facoltà e mondo del lavoro, fin dalla carriera di studenti, permettendo, anche a chi è fuori corso e non può pagare le tasse universitarie, di studiare e lavorare, part-time: il guadagno dato dall’avere più cittadini con studi universitari merita uno sforzo in tal senso. Però è giusto ripetere che l’abbandono scolastico che si crea nelle scuole medie e superiori aumenta la diminuzione degli iscritti nelle Università; eppure il numero degli studenti, se si dovesse bloccare la dispersione, sarebbe stazionario. Tra l’altro, oltre al danno all’Università e alla città di Sassari, la riforma della scuola accresce l’immobilismo sociale!
1 commento
1 G M P
9 Aprile 2010 - 08:50
dati allarmanti.
La precedente giunta aveva fatto dell’istruzione PUBBLICA e della formazione universitaria e post universitaria uno dei fulcri dell’azione di governo unitamente a un forte investimento nella salvaguardia del patrimonio culturale e ambientale della nostra Isola.
Questa illuminata azione amministrativa s é sviluppata non solo con lo stanziamento di ingenti fondi per il diritto allo studio ma anche con un forte investimento sulle università sarde e in particolare con fondi sia per la ricerca (attiva) e per i masters post universitari, per non parlare delle decine di milioni di euro stanziati per l’edilizia scolastica in particolare per la sicurezza degli edifici.
L’attuale giunta Cappellacci ha fatto saltare tutto questo non solo ricordiamoci i boicottaggi del Comune di Cagliari sul Betile e sul campus universitario.
Davanti a questa realtà così poco edificante e poco dignitosa per i Sardi ognuno si deve prendere le proprie responsabilità:
chi governa, chi fa opposizione, chi nel PD aveva remato contro la giunta regionale di cui il PD stesso era il principale partito , chi ha tradito , chi ha fatto vigliaccamente il voto disgiunto magari “consigliato” da qualche piccolo segretario territoriale per esempio nel Sulcis.
A mio modesto avviso molti devono riscoprire il peso e l’importanza del “voto responsabile”.
Mi chiedo come possa il principale partito della sinistra non fare più propri , nell’azione politica , temi come la cultura il diritto allo studio e salvaguardia ambientale.
Vorrei far notare che le più grandi potenze economiche e in particolare quelle che stanno uscendo dalla crisi sono quelle che hanno investito di più in ricerca , alta formazione e istruzione.
Ma noi abbiamo un pduista al governo….
E ora di svegliarsi perché il punto di non ritorno é dietro l’angolo.
Forse siamo ancora in tempo per salvare il nostro Paese
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